Correlate all’inalazione di fibre di amianto sono tre patologie: l’asbestosi, il carcinoma polmonare, il mesotelioma pleurico. La prima è nota da tempo ed è conseguenza di massicce esposizioni. La seconda è legata ad una importante esposizione 25 fibre per centimetro cubo (ff/cc). Oggi si sa che per la terza non è individuabile una dose al di sotto della quale non si dà inizio al processo cancerogenico della pleura.
Nel caso deciso dal Tribunale di Padova il 24/05/2022 l’imputato (difeso dall’autore di questo articolo, avv. prof. Rodolfo Bettiol del foro di Padova, ndr) era un imprenditore accusato di avere cagionato la morte di una lavoratore per mesotelioma pleurico a cagione di una esposizione indiretta ad amianto crisotilo.
Va rilevato come dall’innesco della patologia dovuta alla trasformazione a cellulare e al manifestazione della malattia può decorrere un periodo di latenza sino a 50 anni.
La conseguenza è che mentre l’evento è attuale le cause dello stesso risalgono nel tempo, e il giudizio di responsabilità va fatto a ritroso sulla base della conoscenza all’epoca dell’esposizione.
Una relazione scientificamente fondata tra mesotelioma ed esposizione all’asbesto risulta a metà del 1960. Si tratta di elaborazioni scientifiche accademiche ristrette in quell’ambito e riguardanti comunque esposizioni massive di lavoratori quali quelli delle miniere e delle tessiture dell’amianto.
Per quanto riguarda le lavorazioni con materiali contenenti amianto, in realtà la pericolosità dello stesso è stata elaborata dalle agenzie US ACGIH, US OSHA, e US NIOSH. Le stesse hanno elaborato valori limite di esposizioni in misura decrescente nel corso degli anni dal 1968 al 1978 arrivando ad indicare in quell’anno il limite di 2 fibre/cc per il crisotilo e tipo di amianto utilizzato nel corso di specie.
Nel 1983 viene introdotta la Direttiva CEE 83/477 che prevede per il crisotilo la soglia di 0,2 ff/cc.
Va rilevato come la Direttiva CEE venga recepita in Italia con il D.L. 277/1991 portante peraltro la soglia a 1 fibra/cc per il crisotilo.
L’anno successivo invece con L. 257/1992 viene messo al bando l’uso dell’amianto.
Va rilevato come l’attività lavorativa della vittima risulta, per quanto riguarda l’uso dell’amianto nell’impresa senza contatti dello stesso con il materiale, risalga agli anni 1970 sino al 1986.
Prima del 1991 l’unico intervento normativo in Italia è un D.M. del 1986 in materia di miniere.
Elemento di fatto di tutta rilevanza è quello di una indagine CONTARP negli anni 90 ai fini previdenziali per gli addetti esposti all’amianto.
Orbene, la CONTARP riconosce tali diritti esclusivamente agli addetti al reparto puntatura ravvisando una esposizione di 0,168.
Si tratta in realtà di una misurazione in eccesso che non tiene conto degli impianti di aspirazione per i fumi ferrosi installati nell’impresa idonei a muovere l’aria in tutto l’ambiente lavorativo.
Sulla base delle risultanze la difesa dell’imputato (Avv. Prof. Rodolfo Bettiol del Foro di Padova) unitamente all’avvocato dell’impresa responsabile civile (Avv. Alessandra Chiantoni del Foro di Padova) viene a rilevare l’assenza della violazione della regola cautelare che si sostanzia sulla base degli elementi normativi e scientifici “non superare la soglia 0,2 ff/cc”.
Di fatto invero, non sussiste la prevedibilità ed evitabilità dell’evento.
L’evento mesotelioma non era prevedibile si verificasse sulla base delle conoscenze dell’epoca che ritenevano sussistente una dose al di sotto della quale non vi fosse pericolosità.
Improprio era, quindi, il richiamo dell’accusa al D.P.R. 303 del 1956 in materia di polveri ai fini della responsabilità dell’imputato.
Nessun avviso sulla pericolosità dell’amianto era necessario, gli impianti di aspirazione combattevano la polverosità ambientale.
Un particolare discorso ha meritato, poi, l’uso delle mascherine.
Quelle dell’epoca non avrebbero impedito la penetrazione delle fibre ultrafini dell’amianto. Solo nel 1993 l’EN ritiene la necessità di adozioni di protezioni individuali più efficaci di quelle in uso.
Le stesse sarebbero state inutili.
In definitiva nessuna colpa poteva individuarsi a carico dell’imputato.
Sulla base delle conoscenze dell’epoca il fatto era imprevedibile: imprevedibile, cioè, che anche una dose minima potesse provocare il mesotelioma.
Lo stesso era comunque inevitabile stante l’inutilità dei dispositivi di protezione individuale all’epoca esistenti.
La formula assolutoria della sentenza “il fatto non costituisce reato” fa intendere che il Giudice abbia recepito quanto sostenuto dalla difesa.
La sentenza è importante perché fa seguito a quella poca giurisprudenza che aveva riconosciuto la non colpevolezza degli imputati per gli eventi legati alla relazione con l’amianto.
Ancora una volta si superano gli orientamenti giurisprudenziali che nei fatti affermavano una forma di responsabilità oggettiva dell’imputato, una responsabilità cioè senza colpevolezza.
Anche per l’amianto vale la regola che il fatto deve essere prevedibile ed evitabile per l’affermazione di responsabilità.