Attentati Sri Lanka. Meyer: «Cattolici colpiti solo perché facile bersaglio»

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«Sono rimasto sorpreso. Nessuno poteva aspettarsi una serie di attentati così efferati. C’è stata in Sri Lanka una guerra civile ma questi attacchi sono arrivati così, all’improvviso e in maniera sorprendente». Éric Paul Meyer è direttore del Dipartimento Asia del Sud all’Istituto nazionale delle lingue e civiltà orientali Inalco di Parigi. È uno dei massimi esperti di Sri Lanka ed è da questo osservatorio privilegiato che segue le notizie drammatiche che arrivano da Colombo. A cominciare dal numero delle vittime degli attentati di Pasqua che è salito a 359. Le indagini stanno proseguendo ed altri 18 sospetti sono stati arrestati, facendo salire così a 58 le persone detenute perché collegate con gli attentati.

La prima notizia, professore, è che Daesh ha rivendicato gli attentati. Cosa significa?

Questi attentati, fin dall’inizio, sono stati difficili da capire perché non ci sono nella storia dello Sri Lanka casi di opposizione tra musulmani e cattolici. Un Paese che certamente ha conosciuto negli anni passati momenti di violenza ma non è mai stata una violenza propriamente religiosa. Pertanto risulta difficile capire perché e per quale ragione dei musulmani singalesi abbiano colpito assemblee di cristiani. Per questo l’inchiesta si è orientata fin da subito verso persone che probabilmente sono entrate in contatto con Daesh in paesi del Golfo Persico dove erano andate a lavorare, soprattutto come operai, e dove hanno avuto accesso a reti di attivisti radicali provenienti da Indonesia, Filippine, Maldive e Pakistan.

L’altra notizia è che gli attentati sono stati compiuti per vendicare gli attacchi contro le moschee in Nuova Zelanda. Perché allora colpire in Sri Lanka?
Mi sembra francamente una motivazione costruita dopo. Non mi sembra davvero una ragione sufficiente. Probabilmente ha potuto contribuire ma di per sé non è sufficiente. Perché lo Sri Lanka? Penso che una delle ragioni risieda nel fatto che è un Paese che sta vivendo una situazione politica molto difficile, con un governo che si è molto indebolito da novembre scorso ed è pertanto diventato un obiettivo facile da colpire per operazioni di destabilizzazione.

L’arcivescovo di Colombo ha protestato contro il sistema di sicurezza che non ha funzionato. Lei cosa pensa?
In effetti, le intelligence indiane e americane hanno avuto informazioni che sono state trasmesse alle autorità locali dieci giorni prima gli attentati. Il presidente e il primo ministro ora si scaricano a vicenda questa responsabilità ma è chiaro che il meccanismo di protezione si è inceppato e l’informazione non è circolata. E questa è una ragione in più per cui gli attentati hanno potuto realizzarsi.

Le comunità cattolica è sotto choc. Ha paura. Si temono altri attentati. Lei crede che ci sia un simile pericolo?
Come fare a predirlo? È sicuro però che in Sri Lanka non c’è un terreno fertile. La popolazione musulmana e la popolazione non musulmana non andranno a uno scontro a livello di guerra civile come fu nel passato tra singalesi e tamil. Non è una situazione esplosiva dal punto di vista sociale. Direi piuttosto che lo Sri Lanka è stato scelto per la sua vulnerabilità politica. Il rischio è la perdita di autorità dell’attuale governo e il ritorno di un regime guidato da un leader autoritario, forte, che promette di mettere freno alla violenza.

Perché i cristiani e perché i turisti?
Anche qui. È una domanda difficile a cui rispondere. Le relazioni tra i buddisti e i musulmani si sono fortemente danneggiate in Sri Lanka come anche in Birmania da qualche tempo. Per cui si poteva preventivare che questi gruppi radicalizzati avrebbero colpito piuttosto i buddisti e invece hanno scelto i cattolici. Perché? Credo che sia stata una scelta puramente strategica presa alla luce del fatto che i cattolici avrebbero celebrato la Pasqua e che questa celebrazione avrebbe radunato assemblee di fedeli. Per quanto riguarda invece i turisti e hotel di gran lusso, c’è forse un elemento che torna spesso: gli islamisti radicalizzati prendono spesso di mira gli alberghi e i turisti. Pensiamo per esempio alle Maldive. Sono azioni di opposizione al modo di vivere occidentale che è in netto contrasto con i valori dell’Islam tradizionale e radicalizzato.

Papa Francesco è stato in Sri Lanka nel 2015. Lei crede che questi attentati sono il segno del fallimento della politica del dialogo?
In Sri Lanka sono 4 le comunità religiose presenti. Il buddhismo Theravada (70,2%) e l’induismo (12,6%) sono le religioni predominanti, seguite per diffusione da islam (9,4%) e cristianesimo (7,8%). Non mi sembra che le relazioni tra queste comunità possano oggi essere definite un fallimento. Inoltre, l’islam cingalese è estremamente moderato, come d’altronde lo è nella maggior parte del mondo. È però confrontato con il fenomeno della migrazione. Per molti giovani, partire verso i Paesi del Golfo significa trovare un lavoro, guadagnare di più, pensare al futuro.