Da domani, martedì 16 gennaio 2024, approderà al Sentato per la discussione generale il Disegno di legge Calderoli sull’Autonomia differenziata. Sui temi che ruotano attorno a questa riforma architettata dal ministro per gli Affari regionali, il leghista Roberto Calderoli, e che prevede che le regioni possano chiedere allo Stato competenza esclusiva su decine di materie di politiche pubbliche, si leggono interessanti aggiornamenti su La Repubblica oggi in edicola.
Secondo Giovanna Casadio, anche questo è terreno di confronto-scontro tra Lega e Fratelli d’Italia, già alle prese con i “regolamenti di conti” in vista delle elezioni europee e regionali.
“Ma ci sono macigni che incombono – si legge. Perché il braccio di ferro tra leghisti e meloniani non è affatto concluso. Domani mattina il vertice di maggioranza dovrà trovare la quadra su autonomia e riforma costituzionale del premierato. Nel testo uscito dalla commissione – su pressing di FdI – è stato inserito che prima viene l’unità nazionale, la coesione, e poi la devoluzione alle Regioni delle materie che queste chiederanno di gestire da sé. Prima insomma si fanno i Lep, i livelli essenziali di prestazione, e poi si devolve.
Meloni su questo si è messa di traverso: non solo diversi ritocchi sono stati portati all’autonomia in commissione, c’è anche una modifica che verrà presentata domani in aula. È uno dei pochissimi emendamenti della maggioranza, firmato dai meloniani Andrea De Priamo, Marco Lisei e Domenica Spinelli. Dice, all’incirca, che se risorse sono trasferite alle Regioni che hanno chiesto la devoluzione di alcune materie, ebbene ‘sono contestualmente incrementate le risorse volte ad assicurare medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale al fine di scongiurare disparità di trattamento tra le Regioni’. Con quali soldi non si sa, né quanto dovrebbero essere capienti le casse dello Stato“.
La minoranza promette battaglia, soprattutto ribadendo il motto ormai stra-ripetuto: Il Sud sarà penalizzato. Un Meridione che, sempre sfogliando il giornale GEDI, sarebbe stato abbandonato dalla Meloni.
Come? Ad esempio smantellando l’Agenzia per la coesione con le competenze di programmazione e coordinamento dei fondi comunitari e nazionali per il Sud passati al Dipartimento per le politiche di coesione di Palazzo Chigi.
A questo primo accentramento di potere – ricostruiscono Giuseppe Colombo e Antonio Fraschilla – segue la proposta di revisione del Pnrr dalla quale “arriva un taglio di 15,9 miliardi: 7,6, la metà, fanno riferimento a progetti finanziati al Sud, dalla riqualificazione delle periferie ai Piani urbani integrati. Il grande investimento per la riconversione green dell’ex Ilva di Taranto, a cui il Pnrr aveva destinato 1 miliardo, viene cancellato. Ma non solo. Restano al palo anche i 900 milioni del Fondo di transizione equa per la riconversione industriale della città pugliese. E dai radar del governo scompaiono anche il Contratto di sviluppo per Salerno (250 milioni), oltre a una serie di altre iniziative”.
E ancora: il Governo Meloni chiude le sei Zone economiche speciali (Zes) del Sud, da Palermo a Napoli, tutte legate alle aree portuali e, con un decreto fortemente voluto da Fitto, nasce la Zes unica per tutto il Sud con gestione accentrata a Roma.
“Ma c’è di più – ancora da La Repubblica -. Mentre in Parlamento marcia spedita l’autonomia differenziata cara alla Lega e al ministro Roberto Calderoli, con l’ultima manovra di bilancio arriva il taglio quasi totale del Fondo perequativo infrastrutturale: 4,4 miliardi promessi al Sud dal 2021. Non arriveranno più. Cestinati. Eppure il Fondo era stato ideato, quindici anni fa, per ridurre il deficit infrastrutturale delle diverse aree del Paese, Sud in testa, proprio in vista dell’avvio del disegno federalista.
L’unico investimento annunciato al Sud è il Ponte sullo Stretto sbandierato dal ministro Matteo Salvini, che ha rimesso in vita il carrozzone della Stretto di Messina Spa. Ma in attesa della grande opera (a oggi non c’è un progetto esecutivo con le autorizzazioni ambientali), la beffa: 1,6 miliardi di fondi Fsc destinati a Sicilia e Calabria sono stati ceduti al Ponte. Erano soldi che servivano per realizzare strade e ferrovie nelle Regioni più lente d’Italia.
E si arriva all’ultima polemica. Il governatore campano Vincenzo De Luca vuole denunciare Fitto perché il ministro non sblocca nemmeno i fondi della nuova programmazione dell’Fsc”.