Se il motto “divide et impera” (letteralmente «dividi e comanda») è una locuzione latina secondo cui il migliore espediente di una tirannide o di un’autorità qualsiasi per controllare e governare un popolo è dividerlo, provocando rivalità e fomentando discordie, e se ne “L’arte della strategia” del maestro Sun Pin si legge “quando il nemico concentrerà le sue forze cercheremo di disperderle…“, i 50 colleghi delle principali testate italiane – tra cui il Fatto, La Stampa, Il Secolo XIX e Repubblica – denunciati, come si legge nel seguente articolo da ASPI (Autostrade per l’Italia), perché avrebbero divulgato “informazioni riservate” sul crollo del ponte Morandi, dovrebbero capire la lezione e unirsi.
Glielo suggerisce, umilmente, il sottoscritto direttore del Davide della stampa locale indipendente VicenzaPiù che sta subendo ben 8 cause intimidatorie (qui l’elenco non aggiornato…) per un filone da parte di Gianni Zonin e Giuseppe Zigliotto (entrambi, guarda caso, imputati nel processo BPVi del cui crac la nostra testata è stata l’inascoltata Cassandra fin dal 13 agosto 2010, cfr. “Vicenza. La città sbancata”) e per un altro filone dalla Regione Veneto del presidente Luca Zaia (amante a intermittenza della libertà di stampa) per una decina di suoi collaboratori, vertici inclusi del cosiddettoclan Sergio Romano, da Elena Donazzan e da Giovanni Jannacopulos, tutti presenti come testimoni/vittime/indagati nell’inchiesta della Procura di Venezia sui fondi, in gran parte europei, della Formazione distribuiti dal 2007 in poi di cui abbiamo riferito puntualmente e solo in base ai documenti degli inquirenti…
Superate, quindi e magari per una sola ma strategica volta, le divisioni che li caratterizzano per le diverse linee editoriali delle loro testate, i 50 minacciati uniscano le proprie “debolezze individuali per trasformarle in una “testuggine romana” facendosi difendere in blocco, in una sorta di “reporter class action”, se reale o virtuale dipenda solo dalle norme processuali, da uno studio legale unico, agguerrito e compatto nelle motivazioni da addurre a difesa della libertà della stampa, che, se è attaccata a turno da certi politici quando non con loro ossequiosa, da sempre, e sempre, i potentati economici vogliono asservita ai propri interessi.
Se questi vengono tipicamente tutelati dirigendo su una testata piuttosto che su un’altra i propri investimenti pubblicitari, questa volta evidentemente, di fronte all’atrocità del misfatto, non è bastato per cui vengono scatenate contro 50 “nemici” singoli un’autostrada… di avvocati.
È ora di reagire, magari con un risveglio anche dell’OdG (Ordine dei Giornalisti), dalla FNSI (Federazione nazionale della stampa) supportati da Ossigeno per l’Informazione e da tutte la associazioni a difesa e tutela
Voi, colleghi ben più importanti di noi poveri cronisti di provincia, in 50, ma uniti, potete difendere anche i Davide come noi, che altrimenti verranno stritolati, uno alla volta, privandovi anche della base dell’ammirazione e dell’emulazione che oggi li rende truppe di voi, ufficiali, che ora dovete dimostrare di meritare i gradi per cui andiamo al fronte, anche per voi, a difendere la libertà di stampa e l’articolo 21 della Costituzione.
Autostrade va alla guerra: denunciati 50 giornalisti
Secondo ASPI (Autostrade per l’Italia) avrebbero divulgato “informazioni riservate” sul crollo del Morandi. Nel mirino articoli scritti dal 14 agosto a inizio dicembre
di Ferruccio Sansa, da Il Fatto Quotidiano
Autostrade dichiara guerra ai cronisti. Circa cinquanta giornalisti delle principali testate italiane – tra cui il Fatto, La Stampa, Il Secolo XIX e Repubblica – risultano essere stati denunciati per violazione del segreto istruttorio. L’accusa è di aver divulgato informazioni riservate. Nel mirino sono finiti articoli scritti dal 14 agosto scorso, il giorno del crollo, fino all’inizio di dicembre. Un’iniziativa con pochi precedenti che lancia un messaggio alla stampa e anche a chi conduce l’inchiesta sul ponte. La rivelazione di segreto istruttorio infatti è compiuta da un pubblico ufficiale, quindi da magistrati o investigatori. I giornalisti sono denunciati per aver compiuto il reato in concorso.
I cronisti, in realtà, non hanno rivelato segreti istruttori. Piuttosto hanno pubblicato carte e documenti che successivamente – e forse grazie all’attività di giornalismo investigativo – sono stati poi acquisiti agli atti dell’inchiesta. Vale, per esempio, per gli studi sul Morandi compiuti due anni fa: un dossier che indicava elementi di allarme sulla sicurezza. Il Fatto ne diede notizia due giorni dopo il crollo e solo successivamente i pm vi concentrarono l’attenzione. Ma vale ancor di più per lo studio sul ponte commissionato da Autostrade alla società ingegneristica Cesi nel 2015. Un’analisi non priva di spunti problematici. Eppure a mezzanotte e otto minuti del 15 agosto un dirigente di Cesi – non autorizzato dai suoi superiori né dalla società – mandò a Enrico Valeri di Autostrade (non indagato) una mail che pareva riassumere lo studio. E che assolveva completamente Autostrade per il disastro. Quella stessa email, scoprì il Fatto, finì in poche ore sulle scrivanie dei vertici del ministero delle Infrastrutture. Soltanto dopo il materiale venne acquisito da Guardia di Finanza e pm che lo hanno ritenuto interessante per l’inchiesta.
Ma la denuncia contro giornali e giornalisti è soltanto l’ultimo passo di una strategia giudiziaria di Autostrade che pare essere diventata molto più dura. Il cambio di passo era emerso chiaramente nei giorni scorsi quando il cda della società concessionaria aveva abbandonato i modi fino a oggi prudenti annunciando il ricorso contro il decreto del governo che esclude Autostrade dalla ricostruzione del ponte. La proposta di ricorrere sarebbe stata presentata, come ricordano le cronache, dallo stesso Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia (sia il manager che la società figurano nella lista degli indagati della Procura di Genova). Autostrade ha deciso di ricorrere, ma “senza chiedere la sospensiva” dei lavori “per non bloccare in alcun modo la ricostruzione”.
Già nelle prime settimane dopo il disastro, Autostrade e i suoi vertici erano stati criticati per un atteggiamento giudicato “distante” verso una tragedia che ha causato 43 morti. Non solo: come riportò anche il Fatto, le cronache ampezzane riportarono la notizia di due appuntamenti mondani organizzati da membri della famiglia Benetton nelle ore immediatamente successive il disastro.
Un’ondata di rabbia montò sui social e nell’opinione pubblica. Autostrade e i suoi vertici scelsero un approccio più soft. Ma nelle ultime settimane, ora che si decide la partita economica e giudiziaria, la strategia sembra essere cambiata. E diventata molto più aggressiva.