MESTRE «Tutti in banca sapevano della baciate. Tranne il cda». Roberto Rizzi, il gestore più importante di Banca Popolare Vicenza e recordman di baciate (circa 300 milioni, l’ultima nel gennaio 2015) si presenta al processo in aula bunker a Mestre per ribadire come quello degli acquisti di azioni finanziate fosse un sistema diffuso e conosciuto (qui, su bankilwaks.com, e nella foto del titolo una transazione da 5.900.000 euro per delle baciate, ndr). Dai top manager e non solo.
«Se lei parla con tutti i dipendenti, anche quelli passati a Banca Intesa, dal commesso al capo area, tutti lo sapevano, tutti quelli che operavano nella rete», dice il principe di denari di Contrà Porti, pieno centro di Vicenza, uomo di fiducia anche di Gianni Zonin e della famiglia dell’ex presidente di BpVi sotto processo qui a Mestre.
«Gestivo il suo patrimonio personale, della moglie e dei figli dal 1993, da quando sono entrato in banca. Il presidente ha sempre partecipato a tutti gli aumenti di capitale con soldi suoi, non è mai stato finanziato e con lui non ho mai parlato di baciate».
Oggi parla di ansia e preoccupazione dei dipendenti di BpVi. Ma allora non aveva mai sospettato che il fenomeno vi fosse sfuggito di mano e fosse una prassi al limite dell’illegale? «Magari», la risposta di Rizzi, la memoria storica delle baciate di BpVi.
«La prima la facemmo nel 2009 con Tranquillo Loison. Ci presentammo io, il direttore generale Samuele Sorato, il vice direttore generale Emanuele Giustini e il capo area per proporgli un affidamento di 5 milioni per acquistare azioni della banca – racconta in aula Rizzi davanti a Zonin e all’ex consigliere Giuseppe Zigliotto, sempre presenti in aula – la direzione crediti non lo riteneva affidabile per quella cifra e quindi fu aperto un conto corrente col padre e la madre».
Operazioni che allora non erano neanche baciate, il termine per definire i finanziamenti della banca per comprare azioni della stessa secondo Rizzi divenne di uso comune nel 2011, evidentemente quando questa partita di giro divenne sempre più diffusa, per arrivare secondo l’ex Ad Francesco Iorio a assumere la dimensione di una valanga da oltre un miliardo di euro.
«Lo stesso Zonin in una cena nel dicembre del 2015, prima di Natale, ci disse che non pensava che il fenomeno avesse queste dimensioni», racconta Rizzi: «Mi ricordo che se la prese con Sorato, Giustini, Piazzetta. Io cercai di difendere Giustini».
Sorato è fuori da questo processo, stralciato per motivi di salute. Giustini ieri in aula non c’era, ma s’è presentato un altro imputato finora sempre assente, Paolo Marin. Andrea Piazzetta per ora non si è mai visto.
Possibile che in questo giro continuo di pranzi e cene che impegnavano dirigenti, consiglieri d’amministrazione e soci di alto livello nessuno avesse mai manifestato il timore che il titolo di BpVi fosse sopravvalutato o che le baciate con lettera di riacquisto e rendimenti incorporati dell’1% fossero illegali?
«Feci presente la questione delle baciate a qualche consigliere in maniera blanda e indiretta», dice il commerciante che era a capo dell’Ascom di Thiene, Emanuele Cattelan, socio finanziato tra i tanti, ma resta sul vago ed esclude di averne parlato con Zonin.
Preoccupati furono anche i fratelli Ravazzolo, tra i primi azionisti della banca e baciati dai finanziamenti di Rizzi fin dal 2011 con 50 milioni. «Ci fu un pranzo nel 2013 alla presenza di Giustini, Claudio Giacon e anche del direttore generale, Sorato che rassicurò i Ravazzolo sull’investimento, potevano stare tranquilli», ricorda Rizzi, che parla anche del finanziamento di 5 milioni ad Ambrogio Dalla Rovere nel 2014 per comprare azioni di BpVi nell’aumento di capitale. La partecipazione di Dalla Rovere aveva suscitato le perplessità di Zonin perché era grande socio e consigliere d’amministrazione di Veneto Banca. Rizzi ricorda una telefonata tra Sorato e il presidente proprio su questo tema che iniziò davanti a lui ma si protrasse in altri uffici.
Chiusura d’udienza con il commercialista trevigiano Lorenzo Boer: «A fine del 2011 fui chiamato da un manager che mi presentò l’opportunità di ottenere il finanziamento della banca a breve termine per comprare azioni della banca stessa, che sarebbero state vendibili senza problemi in qualunque momento e mi veniva assicurato un rendimento dell’1% – dichiara Lorenzo Boer le azioni vennero comprate da me e dalla società di mia madre. Mi fu anche rilasciata una lettera della Popolare nella quale si impegnava a garantire un rendimento e la vendita delle azioni. Complessivamente erano 2 milioni poi aumentati a 2,5. Una volta ampliata l’operazione la lettera non aveva più la garanzia di rendimento. Ci fu un incontro nel 2015 in direzione generale con Giustini e altri manager in cui mi fu rassicurato che la perdita della baciate non sarebbe stata a carico mio, stiamo sistemando tutto. Ora sono in causa e non ho più avuto novità».
Singolare la sua lettera di riacquisto in cui si impegnava a non divulgare e a conservare con la massima cura questo documento. Il pm Gianni Pipeschi sottolinea come il rendimento scritto sulla lettera fosse ben più alto, il 4%. Boer vide Zonin una sola volta: «Nel 2011 e non ho mai parlato di baciate con lui».
Maurizio Crema, da Il Gazzettino