Documento pubblico e agli atti della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario che ha richiesto, in occasione della sua audizione del 13 aprile scorso, all'ex magistrato Giovanni Schiavon, già presidente anche dei tribunali di Belluno e Treviso, una memoria aggiuntiva sulle Azioni finanziate (“baciate”) di Veneto Banca
Le azioni finanziate (“baciate”) di Veneto Banca
(MEMORIA di Giovanni Schiavon)
Faccio seguito alla memoria depositata in occasione della mia audizione presso codesta Commissione di Inchiesta in data 13 aprile c.a., intendendo svolgere alcune ulteriori riflessioni sullo specifico tema delle c.d. azioni “baciate”, con riferimento a Veneto Banca.
Premetto che questa espressione – com’è noto – si riferisce all’acquisto e alla sottoscrizione di quote azionarie di una banca, da parte di un socio, mediante l’utilizzo di finanziamenti concessi dalla banca stessa. Tale problema è venuto in emersione solo verso la fine del 2013, come uno dei rilievi effettuati nel rapporto ispettivo della Vigilanza su Veneto Banca relativo al periodo dall’aprile all’agosto 2013. Prima di allora, il fenomeno delle azioni finanziate, riferito alle banche popolari, era praticamente sconosciuto; ed, anzi, esisteva un autorevole orientamento dottrinale che negava la stessa applicabilità alle banche cooperative dell’art. 2358 c.c. (che fa divieto alle società di accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie)[1].
E, quindi, fino alla consegna della seconda relazione ispettiva di Bankitalia (di fine 2013) la tematica delle azioni finanziate non era stata mai approfondita ed, anzi, nessuno si era mai seriamente posto il problema di un loro divieto, come, del resto, si poteva desumere dal fatto che praticamente tutti gli statuti delle banche popolari (che erano sottoposti alla preventiva autorizzazione di Bankitalia) prevedevano la possibilità di finanziare i soci per l’acquisto delle azioni dell’Istituto finanziatore; addirittura, alcuni statuti stabilivano che, negli affidamenti concessi a questo scopo, dovessero essere privilegiati i soci piuttosto che i soggetti richiedenti che tali non fossero.
E, allora, già con questa precisazione storica, mi sembra assai problematico addebitare alla governance di Veneto Banca un doloso e artificioso accrescimento del patrimonio attraverso le cosiddette operazioni baciate, nascoste alla Vigilanza. Non è agevolmente comprensibile la configurabilità di una specifica volontà di ostacolare la vigilanza stessa nella rilevazione di tali azioni finanziate se, fino al 2013, neppure si era mai posto il problema della (supposta) inapplicabilità alle banche popolari del divieto di cui all’art. 2358 c.c..
Tant’è che in tutte le precedenti ispezioni della Vigilanza di Bankitalia, nessun rilievo, sullo specifico punto, era mai stato fatto, benché si sia poi scoperto che alcune di tali operazioni (evidenziate, ripetesi, nella seconda metà del 2013)) risalivano ad epoche antecedenti.
In estrema sintesi, ci si deve chiedere: “se, fino al novembre 2013, non era neppure sicuro che il divieto di cui all’art.2358 c.c. si dovesse applicare anche alle banche popolari, come si potrebbe, ora, ipotizzare un dolo di Consoli per aver omesso di segnalarne l’esistenza agli ispettori di Bankitalia? Non poteva Consoli non aver fatto ciò solo per avere, in buona fede, creduto, come riteneva una buona parte della Dottrina, che il divieto di cui all’art. 2358 non fosse applicabile alle banche popolari?”.
In definitiva non è dato di capire come possa parlarsi di dolo (a carico dell’ormai unico imputato, Vincenzo Consoli), riferito al reato contestatogli di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, previsto dall’art. 2638 c.c., quantomeno per le c.d. operazioni antecedenti al 2014; infatti, esse - pur se esistenti - neppure erano state rilevate nelle precedenti ispezioni del 2003 e del 2009. Ed allora, come potrebbe essere configurabile un dolo se, ancora alla fine del 2013, non era mai stato messo in discussione il problema della possibile esistenza, nelle banche popolari, di azioni illegittimamente acquistate con finanziamenti provenienti dagli stessi Istituti (e senza detrarne l’importo dal patrimonio di vigilanza)? E com’è possibile attribuire alla governance di Veneto Banca un dolo specifico con effetto retroattivo rispetto al momento storico in cui il problema delle cosiddette azioni baciate è venuto in emersione? E, se, poi, Consoli ha lasciato Veneto Banca nel 2015, si ha la conferma che il reato contestatogli (connotato, si ripete, da un dolo specifico) è davvero insussistente.
Tanto più che tale elemento soggettivo del reato dovrebbe, poi, essere riferito ad un’epoca in cui – com’ è noto – la richiesta di azioni della banca popolare era talmente alta che, di fatto, era assai difficile trovarne una disponibilità, proprio perché esse erano considerate molto appetibili per una funzione di risparmio. In quest’ ottica, il finanziamento concesso per l’acquisto di azioni dello stesso intermediario bancario era considerato non già come un artificio per alterarne il patrimonio, ma come un (lecito) strumento per favorire i soci (soprattutto) aiutandoli a tesaurizzare i propri risparmi, proprio nell’ottica dello spirito cooperativistico. E’ solo successivamente alla seconda ispezione del 2013 che è emersa la problematica delle operazioni baciate per le banche popolari.
Ma, in ogni caso, anche a prescindere dalle sopra esposte osservazioni, riguardanti l’improbabile configurabilità di un dolo specifico, è necessario rilevare che i dati riferiti dalla Vigilanza sul capitale finanziato erano errati, come la stessa banca (purtroppo inutilmente) ha sempre cercato di dimostrare e com’è difficilmente contestabile.
In questa mia memoria supplementare, dovendo sforzarmi di sintetizzare al massimo la narrazione delle vicende che hanno travolto le ex banche popolari (Veneto Banca, in particolare), ritengo utile riportarmi totalmente all’approfondita memoria tecnica (clicca qui per scaricare Audizione Favotto in Regione Azioni finanziate, ndr) inviata dal Prof. Francesco Favotto (professore di Economia Aziendale presso l’Università di Padova e presidente del CdA del Gruppo Veneto Banca dal 24 aprile al 29 ottobre 2015), in cui l’argomento dell’erroneo calcolo delle operazioni baciate eseguite da Bankitalia è stato più che esaustivamente trattato (nel punto 2.2). Lo scritto è la memoria tecnica elaborata dal prof. Favotto per la Commissione speciale di inchiesta istituita dal Consiglio Regionale del Veneto nel dicembre 2017.
E tale scritto, dunque, mi limito ad inviare in allegato alla presente memoria.
Giovanni Schiavon
[1] Sul punto si può citare anche lo Studio n. 5617/I del Consiglio Nazionale del Notariato del 25-2-2005, sul tema “le banche cooperative nella riforma del diritto societario” (clicca qui per scaricarlo, ndr).
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