Banca d’Italia e suoi effetti su BPVi e Veneto Banca: li spiegammo già due anni fa. Parte II: Vicenza e Bari amori incoffessati

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Ignazio Visco
Ignazio Visco "governa" sulle banche da Banca d'Italia

È da tempo che stiamo cercando di chiarire il ruolo, che si fa fatica a immaginare “inconsapevole” di Banca d’Italia a meno che non si tacci di incompetenza o leggerezza Ignazio Visco, confermato governatore a dispetto di un lungo periodo di crac bancari, e l’allora capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo, ora rimosso da un organo diventato meno importante, con la Bce che controlla, ma promosso dal primo luglio ad “alto” consulente del direttorio in materia di vigilanza bancaria e finanziaria e nei rapporti con il Single Supervisory Mechanism (Ssm, la Vigilanza europea).

Che Banca d’Italia abbia avuto un ruolo non di certo passivo almeno nel flop congiunto di Banca Popolare di Vicenza, da sempre al suo servizio e gradita ai suoi vertici, e di Veneto Banca, non esattamente inserita nel sistema e più portata a perseguire le volontà dei soci piuttosto che quelle di via Nazionale, tutti lo sussurrano, pochi lo dicono, nessuno si affanna a dimostrarlo.

Prima di provare a compiere un passo in questa direzione (che vuol dire andare verso un campo minato) abbiamo deciso di riproporre, in rapida sequenza, alcuni, pochi, larghi estratti di una nostra mini inchiesta, anzi di una “messa in ordine” di fatti con la nostra rilettura che vi sottoponemmo due anni fa nel 2017 e, precisamente il 31 marzo, il 2, il 4 e il 5 aprile evidenziando alcuni aggiornamenti, così pochi che a due anni di distanza quanto da noi scritto è, preoccupantemente, attuale incluse le domande senza risposta e quelle che, nel silenzio, hanno avuto la loro risposta con la messa in liquidazione coatta amministrativa della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca.

Ripartendo, quindi, dal 31 marzo 2017 (“Noi abbiamo parlato da sempre di BPVi e Veneto Banca. Ora ci occupiamo anche di Banca d’Italia…“) col titolo “Banca d’Italia e suoi effetti su BPVi e Veneto Banca: li spiega quanto scrivemmo due anni fa, parte I“, ecco oggi la seconda parte, di fatto quanto scritto il 2 aprile 2017 e che allora titolammo “Banca Popolare di Vicenza, Popolare di Bari, Veneto Banca e Etruria: premi e bocciature per reato di insubordinazione a Banca d’Italia?“.

Evidenziato il ruolo di Banca d’Italia nei casi esaminati concludevamo (il 31 marzo 2017 e, poi, nella ripresa del 30 giugno riproposta ieri sera) così: “Limitiamoci ad osservare che i problemi sono sempre, per tutte (tutte!) gli stessi. Ma poi…“. Eccoci al poi.

C’è poi, infatti, il tema della trasformazione, per decreto, delle banche popolari – con attivo superiore agli 8 miliardi di euro – in Spa. L’operazione è stata fortemente voluta (fatto più volte dichiarato dai vertici, Ignazio Visco in primis) da Banca d’Italia che ha anche scritto il provvedimento.

Il 2 dicembre scorso (2016, ndr) il Consiglio di Stato (ancora una volta!) ha sospeso l’attuazione della riforma e ha messo in luce (nelle motivazioni) l’abuso di potere attuato da Banca d’Italia per quanto riguarda il diritto di recesso per come è disposto dal codice civile evidenziando nella riforma potenziali elementi di incostituzionalità. Questa riforma, per molti malpensata e sciagurata, ma per noi ancora da decifrare compiutamente perchè, se i suoi effetti sono stati dirompenti soprattutto quando si sono innestati su altre situazioni, è innegabile che hanno fatto scoppiare spesso un bubbone latente che avrebbe potuto causare danni ben peggiori se lo si fosse ancora lasciato crescere sotto pelle per gonfiarsi a dismisura.

Ma, fatta per decreto e con gli errori ora sanciti dal Consiglio di Stato, la riforma ha imposto tempi rapidissimi e determinato conseguenze nefaste per le Popolari venete (le uniche, insieme alla Popolare di Bari, a non essere quotate e soggette a quel tempo alla trasformazione). Il contagio purtroppo rischia di colpire anche altre popolari non quotate: innanzitutto, dopo la Popolare di Bari, che ha differito la trasformazione in base allo stop del Consiglio di Stato, la popolare Alto Adige. E poi…

Un discorso a parte specifico meritano:

Banca Popolare di Bari (le sue vicende sono ancora oggi all’ordine del giorno, ndr)  L’ispezione di Banca d’Italia di inizio 2013 mette in evidenza debolezze significative, tanto che la memoria ispettiva viene accompagnata da una lettera del governatore che chiede l’immediato cambio di governance e l’uscita della famiglia Jacobini dal governo (vero governo) della banca. Poi, dopo un incontro che ha del miracoloso, la banca diventa improvvisamente virtuosa tanto da risultare addirittura “soggetto aggregante“: a novembre 2013 – con autorizzazione di Banca d’Italia – ingloba la Tercas dopo che il Fondo di Tutela dei Depositi immette in Tercas la bellezza di 250 milioni di capitale fresco (bocciati dopo un po’ dalla Commissione europea solo recentemente smentita, ndr).

Amministratore delegato di Tercas viene nominato uno dei figli di Marco Jacobini, mentre l’altro è Condirettore alla Popolare di Bari. Si tratta evidentemente di una banca popolare a carattere familiare (in tutti i sensi), modalità questa di governance ben gradita a Banca d’Italia. Tra il 2014 e il 2015 Banca d’Italia autorizza la Popolare di Bari a effettuare aumenti di capitale per oltre 500 milioni, emessi a prezzi nettamente superiori ai valori patrimoniali contabili.

Addirittura – anomalia incredibile – anche il prezzo di recesso viene fissato a valori superiori a quelli contabili. A detta degli esperti è una valutazione che non sta né in cielo né in terra. Ma la Vigilanza di Carmelo Barbagallo questa volta sembra non occuparsene. Banca d’Italia non vede neppure che l’aumento di capitale fu realizzato con il contributo del fondo Methorios, attraverso operazioni diciamo “borderline” (come quelle emerse per la Banca Popolare di Vicenza e Banca Etruria) che hanno viaggiato tra Malta e Lussemburgo.

Ad essere maligni verrebbe da pensare che Popolare di Bari sia stata salvata per chissà quali motivi e poi – per nasconderne le debolezze – ci si sia inventati un’operazione di sistema “Tercas” (tra l’altro con l’intervento del Fondo di Tutela dei Depositi) utile a confondere le carte. Non va dimenticato che Creval aveva dimostrato un certo interesse all’acquisto di Tercas ma fu gentilmente consigliato di astenersi e di non interferire (voci maligne dicono da Vigilanza).

Alcuni significativi dati ricavabili dalla semestrale 2016 di Popolare di Bari:

– crediti deteriorati lordi: 33,11%

– crediti deteriorati netti: 20,40% o accantonamenti effettuati su crediti nei primi 6 mesi 2016 : 47,3 milioni di euro, una quota dello 0,5% a fronte di un totale crediti di 9,5 miliardi di euro: eufemisticamente insignificanti.

– Reddititvità dei primi 6 mesi: negativa o valore dell’azione fissato a 1,33 volte i mezzi propri o titolo illiquido. I soci, come riportato da notizie diffuse di stampa non riescono a vendere.

Banca popolare di Vicenza Nella seconda metà del 2013 sembrava che fosse l’unica banca che avesse mezzi patrimoniali e risorse umane per fare acquisizioni. Banca d’Italia, non si sa sulla base di quali numeri, aveva deciso che si trattava di banca aggregante. Nel 2012 Vicenza era stata oggetto di ispezione che – per quanto risulta – non aveva messo in luce problemi particolari e Banca d’Italia la indicava come Banca aggregante.

D’altro canto Gianni Zonin e Samuele Sorato continuavano a ripetere che ogni loro azione era previamente concordata con la vigilanza. Sul finire del 2013 e a quasi tutto il 2014 Popolare di Vicenza si dimostrò pubblicamente (cosa ben posta in risalto dalla stampa) interessata ad acquisire Banca Marche, Popolare di Marostica, Carife, Etruria, Veneto Banca.

Alla fine di questo battage comunicativo riuscì ad acquisire solo 16 sportelli di Carife, incassando i “no” decisi da pressochè tutti gli altri Istituti. Successivamente, forse anche per le difficoltà incontrate nell’effettuare le acquisizioni non andate a buon fine, la nebbia si diradò ed emerse una situazione completamente diversa da quella pubblicizzata dai manager ed avallata da Banca d’Italia.

Banca Popolare di Vicenza, la grande banca dalla solidità patrimoniale tale da essere classificata polo aggregante, a sorpresa non superò gli AQR/Stress test voluti dall’Europa e una successiva nuova ispezione di BCE (del 2015) mise in evidenza che la banca aveva raccolto oltre 1,3 miliardi di euro di capitale finanziando direttamente i soci (c.d. operazioni baciate).

È davvero difficile credere che non si riesca a vedere capitale finanziato per un simile ammontare. Delle due l’una: chi ha ispezionato non ha voluto vedere, oppure era talmente cieco da non vedere l’elefante nella stanza. I professionisti chiamano – in genere – le due ipotesi “dolo” o “colpa”. La vigilanza non si accorse neppure che un’altra fetta di aumento capitale era stata fatta grazie a operazioni “borderline” che giravano tra Malta e Lussemburgo.

Partner nell’operazione – a quanto è dato sapere – era ancora il fondo Methorios (già protagonista in Popolare di Bari e Etruria) Sta di fatto che Banca d’Italia aveva strategicamente deciso che Popolare di Vicenza dovesse salvare – si fa per dire, a posteriori – Etruria e Veneto Banca. È noto che Etruria si oppose decisamente e, per questo?, venne commissariata e i consiglieri pesantemente sanzionati. Sorte simile se non peggiore è toccata a Veneto Banca.

Parrebbe dunque che per entrambi gli Istituti, Etruria e Montebelluna, si sia profilata l’ipotesi di “reato” di “insubordinazione a Banca d’Italia“. Ma questo cercheremo di capirlo a seguire…