Banca d’Italia e suoi effetti su BPVi e Veneto Banca: li spiegammo già due anni fa. Parte III: il “pupillo” Zonin

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Il "pupillo" di Banca d'Italia Gianni Zonin al bancomat della BPVi

Ripartendo dal 31 marzo 2017 (“Noi abbiamo parlato da sempre di BPVi e Veneto Banca. Ora ci occupiamo anche di Banca d’Italia…“) col significativo titolo “Banca d’Italia e suoi effetti su BPVi e Veneto Banca: li spiega quanto scrivemmo due anni fa, parte I“ e da quanto scritto il 2 aprile 2017 (“Banca Popolare di Vicenza, Popolare di Bari, Veneto Banca e Etruria: premi e bocciature per reato di insubordinazione a Banca d’Italia?“) ripreso nella seconda parte della nostra ricostruzione delle ipotesi sul ruolo non di certo passivo di Banca d’Italia nel flop congiunto di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, oggi riproponiamo quanto scritto il 4 aprile 2017 (“Banca d’Italia controlla tutto, ma anche no. Tra le simpatie per la BPVi di Gianni Zonin e le lotte a Veneto Banca di Vincenzo Consoli“) e una sintesi del 5 aprile (“L’infallibilità di “papa” Ignazio Visco: i crolli di BPVi, Veneto Banca e troppe altre banche la negano e mettono sotto accusa Banca d’Italia“) con domande tuttora irrisolte.

Al di là dei premi ricevuti, iniziavamo così l’articolo del 4 aprile, in particolare da Banca Popolare di Vicenza e Popolare di Bari, quest’ultima ancora oggi “in piedi” (oggi era allora e ancora ora, ndr) senza danni apparenti nonostante situazioni di bilancio e di patrimonio critiche, e le parallele bocciature comminate a Veneto Banca e Etruria… sta di fatto, concludevamo (il 2 aprile 2017, ndr), che Banca d’Italia aveva strategicamente deciso che Popolare di Vicenza dovesse salvare – si fa per dire, a posteriori – Etruria e Veneto Banca.

È noto che Etruria si oppose decisamente e, per questo?, venne commissariata e i consiglieri pesantemente sanzionati. Sorte simile se non peggiore è toccata a Veneto Banca.
Parrebbe dunque che per entrambi gli Istituti, Etruria e Montebelluna, si sia profilata l’ipotesi di “reato” di “insubordinazione a Banca d’Italia”.

Veneto Banca era probabilmente la migliore o, più realisticamente, la meno peggiore delle banche non quotate. Cresciuta considerevolmente negli anni attraverso acquisizioni autorizzate via via proprio dall’organo di Vigilanza di bankitalia (Cassa risparmio di Fabriano, Banca Apulia, BIM), l’amministrazione della banca, però, non aveva un gran rapporto con Banca d’Italia e viceversa: consiglieri e amministratori erano considerati troppo indipendenti.

Nel 2013 Veneto Banca viene ispezionata due volte. La prima ispezione non evidenzia problemi e non genera alcuna apertura di procedimenti sanzionatori. Con la seconda ispezione, invece, nello stesso anno, in continuità con la prima e eseguita dallo stesso team ispettivo Bankitalia cambia radicalmente opinione e, con la memoria ispettiva accompagnata da lettera dispositiva del Governatore Ignazio Visco, rileva “carenza di capitale e governance inadeguata” intimando a Montebelluna di fondersi con una banca di adeguato standing.

Lo stesso Carmelo Barbagallo, responsabile della Vigilanza, chiarì al CDA di Veneto Banca (ma lui ha sempre smentito, ndr) che la banca aggregante era, ancora una volta, la Popolare di Vicenza di Gianni Zonin. Si doveva ovviamente trattare di un’operazione di fusione tra due banche di dimensioni simili.

Per… facilitare l’operazione il Governatore aveva stabilito che nessun rappresentante di Montebelluna e tanto meno il suo Ad Vincenzo Consoli dovesse entrare nel consiglio di amministrazione della banca emergente dalla fusione, bensì tutta la governance doveva essere appannaggio di Vicenza. Non proprio termini tipici di una fusione.
La proposta venne giudicata irricevibile da Veneto Banca e l’operazione non andò in porto.
Tutti i consiglieri di Veneto Banca si dimisero con l’assemblea dei soci del 26 aprile 2014 e venne nominato un nuovo CDA.

Ma nonostante Veneto Banca avesse, poi, superato gli stress test, a differenza della “imposta” salvatrice BPVi, oramai il suo destino era segnato: oltre alle dimissioni imposte dell’intero CDA, Veneto Banca fu oggetto di una spettacolare perquisizione da parte della Guardia di Finanza nel febbraio 2015 e oggetto di una generosa campagna stampa a corollario. Tutti elementi che contribuirono a generare ed enfatizzare panico e a far venir meno la fiducia nell’istituto che si è così lentamente afflosciato. Forse proprio l’effetto cercato.

La richiesta di BCE di portare il coefficiente patrimoniale dall’8% al 10,50% unitamente alla quotazione in borsa in tempi strettissimi uniti al decreto Renzi di trasformazione in spa diedero il definitivo colpo di grazia, questa volta a entrambe le Popoalri Venete.
L’impressione che si trae, e qui spesso lo abbiamo scritto, è che i vertici di Bankitalia volessero a tutti i costi salvare la Popolare di Vicenza, della quale conoscevano la reale situazione (dopo l’ispezione effettuata nel 2012) e a tale scopo abbiano deciso di sacrificare altre banche oltre al… buon nome dell’Istituzione.

Ovviamente la responsabilità del dissesto viene addossata tutta sui manager e sui consiglieri di Veneto Banca, rei – di fatto – di aver opposto un deciso rifiuto ai disegni di Palazzo Koch, e la diversa aria che si respira nella procure di Roma (ora il “processo” si farà a Treviso, ndr) e di Vicenza per Consoli e Zonin rispettivamente sembra ripetere il copione.

Se questo fosse servito a risolvere i problemi del sistema bancario italiano, beh, il prezzo da pagare per i singoli e, soprattutto, per le decine di migliaia di risparmiatori traditi potrebbe per lo meno trovare una giustificazione sistemica.

Ma i  problemi delle banche italiane rimangono ancora per larga parte irrisolti. E allora…

Allora le conclusioni, comunque momentanee, le trarremo, scrivevamo fiduciosi, nell’ultima puntata di questa mini ricostruzione: “L’infallibilità di ‘papa’ Ignazio Visco: i crolli di BPVi, Veneto Banca e troppe altre banche la negano e mettono sotto accusa Banca d’Italia“).

Il 4 aprile 2017 abbiamo, quindi, approfondito questi ultimi aspetti – scrivevamo il 5 e oggi non vediamo conclusioni diverse – concludendo che tutto lo sfascio, davanti ai nostri occhi e nelle tasche di moltissimi, non è servito neanche a risolvere i problemi del sistema delle banche italiane che rimangono ancora per larga parte irrisolti. E allora….

Se è vero che, a parte i non trascurabili errori dei “gestori” delle singole banche, alcuni “dolosi” e altri ingigantiti dall’assenza di una visione dei cambiamenti in atto nella società reale, sempre meno “fisica” e più internettizzata, nel mondo finanziario e nelle regole politico-economiche della BCE, tutto il sistema bancario italiano è stato annichilito da una crisi economica travolgente, straordinariamente lunga, senza precedenti.

Una crisi devastante che ha fatto morire un numero impressionante di imprese mentre il ruolo dell’organo di Vigilanza sino ad ora è sembrato essere, e il dubitativo è di cortesia istituzionale e di “umile” competenza professionale, quello di tentare soluzioni sgrammaticate avendo ben cura – in ogni caso – di distribuire italicamente le responsabilità a destra e a manca ovviamente autoassolvendosi da ogni livello, anche minimo, di responsabilità.

Basta vedere il numero di banche attanagliate dai problemi di credito deteriorato e di capitale: sono decisamente troppe perché si possa imputare tutto soltanto ai manager che le guidavano, a meno che non si voglia credere a un sistema bancario guidato solo da incapaci e disonesti, divenuti comunque incapaci o disonesti tutto di un tratto e simultaneamente.

I manager che guidavano le banche hanno certamente avuto responsabilità e tra queste, lo abbiamo detto, – senza dubbio – il non aver saputo interpretare la crisi. Ma la gran parte di questi manager oggi non è più in carica, eppure le cose non sono cambiate anche se in molti casi gli effetti degli errori del passato erano stati ufficializzati dalle stesse autorità bancarie centrali come neutralizzati, anche se i casi delle 4 banche “risolte” e della più volte “salvata” Mps sembrano dimostrare il contrario.

Sono, invece, i vertici di Palazzo Koch, che avrebbero dovuto vigilare sulla stabilità del sistema, a rimanere ancora al loro posto nonostante abbiano palesemente mancato il loro compito e abbiano finito con l’aggravare la situazione con una evidente incapacità e inadeguatezza (nella migliore ma pur grave delle ipotesi), con la mancanza di visione sistemica e, talvolta, con il protagonismo di alcuni di essi.

È giunta l’ora di fare chiarezza aprendo la strada alla verità “vera” – scrivevamo sempre il 5 aprile 2017 -, quella che non fa comodo ai veri e maggiori responsabili e che si fa fatica a trovare sui media, anche e, questa volta, soprattutto, su quelli maggiori.

I vertici di Bankitalia (lo affermiamo con preoccupata serenità non avendo lesinato fino ad oggi di evidenziare le colpe gravi dei “gestori” dei singoli Istituti) sono stati i principali artefici della debacle delle banche del nostro Paese….

Con lo scandalo Fazio fu fatta cadere la durata illimitata del mandato del Governatore della Banca d’Italia. Forse, con queste ultime evidentissime “falle” potrebbe essere giunto il momento di far cadere con le teste dei responsabili anche il principio dell’infallibilità… visto che la Vigilanza italiana o non ha vigilato o ha mal vigilato o ha tramato…

Qui mettemmo non un punto fermo ma dei “puntini”.

Oggi, 11 aprile 2019, a dimostrare che Banca d’Italia non ha vigilato o ha mal vigilato basterebbero i risultati sotto gli occhi di tutti: quattro banche risolte e le due venete poste in liquidazione coatta amministrativa insieme ad altri 5 istituti minori ma il cui dramma non è stato minore per i singoli che lo hanno subito.

“Spunti” sull’ipotesi, non tanto peregrina, che Bankitalia abbia anche tramato non mancherebbero anche a chi ha capacità e coperture maggiori delle nostre, ma si sa come vanno queste cose…

Allora ci faremo ancora una volta coraggio e proveremo a stimolare noi la “discussione” (su documenti ovviamente) e vediamo se qualcuno riprenderà cosa scriveremo su

 

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