Banca Popolare di Bari salvata, intervento di Zanettin in Parlamento: “banche venete invece sono scomparse”

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Di seguito il discorso integrale del deputato vicentino Pierantonio Zanettin (FI)sul caso Banca Popolare di Bari (in alto in video)

Onorevole rappresentante del Governo, sottosegretario Baretta, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, nel nostro Parlamento torniamo di nuovo a parlare di banche e lo facciamo per l’ennesimo crac che ha interessato una banca italiana, la Banca Popolare di Bari.

E io oggi, in questo mio intervento, voglio parlare del decreto-legge all’esame del Parlamento, ma forse più in generale del problema del credito nel nostro Paese e della politica creditizia, nonché di come si è articolata sia sul piano politico, sia sul piano tecnico questa politica creditizia negli ultimi anni.

Un primo ragionamento, un primo rilievo, mi sento di farlo sul piano strettamente politico: noi oggi assistiamo – vi abbiamo già assistito, per carità, qualche mese fa, sul “decreto Carige”, ma lo constatiamo anche in questa occasione con riferimento a questo decreto sulla Banca Popolare di Bari – a un mutamento genetico del MoVimento 5 Stelle. Io lo voglio ricordare, perché è un dato oggettivo: nella scorsa legislatura ricordiamo tutti i principali esponenti del MoVimento 5 Stelle – da Di Maio a Di Battista, allo stesso sottosegretario Villarosa – urlare e sbraitare contro i soldi pubblici che venivano destinati al salvataggio delle banche. Su questo argomento, assai suggestivo, il MoVimento 5 Stelle, di fronte a un popolo di cittadini che hanno perso i loro risparmi e che è in difficoltà economica, hanno costituito larga parte del loro consenso, che li ha portati ad essere, alle ultime consultazioni politiche, il primo partito del Paese.

Oggi questo consenso sta scemando in modo significativo, come tutte le consultazioni elettorali che si stanno succedendo dimostrano, ed evidentemente questo dipende molto anche dal fatto che i cittadini si stanno rendendo conto che quegli argomenti sui quali tanto consenso ha costruito il MoVimento 5 Stelle in quegli anni erano fasulli, tant’è che oggi, giustamente, il MoVimento 5 Stelle vota perché risorse pubbliche vengano destinate al salvataggio delle banche, nella fattispecie della Banca Popolare di Bari.

Noi ci compiacciamo di questa evoluzione, come dire, istituzionale del MoVimento 5 Stelle – non siamo quelli che la criticano – però credo che nel Parlamento vada ricordata questa mutazione genetica: quegli argomenti che loro hanno usato per costruire il consenso in quegli anni non avevano ragion d’essere. Forza Italia, un partito che è all’opposizione oggi come lo era negli anni del centrosinistra, non ha mai usato quegli argomenti pretestuosi per prendere un pugno di voti in più; sui temi delle banche, sui temi della sicurezza finanziaria del sistema, con senso di responsabilità e con sincero spirito patriottico, ha votato o ha sostenuto provvedimenti che erano di maggioranza e che non le appartenevano, ma proprio per questo spirito, come dire, di responsabilità civile nei confronti del Paese.

La seconda questione che vorrei portare all’attenzione di quest’Aula oggi, relativamente alla Banca Popolare di Bari, è il tema delle banche popolari; un tema a me caro per il vissuto soprattutto locale, perché essendo vicentino e veneto ho vissuto, da socio storico sia dalla Banca Popolare di Vicenza, sia di Veneto Banca, tutto quello che ha riguardato tante famiglie e tanti soci di quelle banche popolari. Qui mi viene utile una riflessione generale: dopo il crac di Banca Popolare di Vicenza, dopo il crack di Veneto Banca, dopo il crack di Banca Popolare di Bari, dobbiamo interrogarci su quello che è e su quello che era l’assetto normativo di queste banche, perché tutte queste tre banche erano banche popolari, quindi banche teoricamente cooperative, non quotate.

Ecco, sul tema della non quotazione io voglio richiamare l’attenzione di quest’Aula e del Governo. Abbiamo tanto discusso sulle ragioni di questi crack e tutti – anche ho sentito alcuni interventi che mi hanno preceduto – puntano il dito in particolare sulla mala gestio che sicuramente c’è stata per tutte queste banche o per molte di esse; però io credo che la questione si debba porre anche sul piano normativo più ampio e qui la responsabilità secondo me va individuata molto astrattamente sul mondo regolatorio. Infatti, si sono lasciate crescere queste realtà – le banche popolari non quotate – a livelli di dimensioni che tradivano lo spirito cooperativo.

Quando la Popolare di Vicenza aveva 116 mila soci sparsi su tutto il territorio nazionale, quando Veneto Banca aveva 75 mila soci, quando la Popolare di Bari ha avuto fino ai 70 mila soci, voi capite, colleghi, che avevano fatto crescere delle realtà che erano tutte scollegate con la realtà locale dalla quale erano nate e in cui erano state partorite; e quali erano e sono, per quello che è rimasto di quelle realtà – è rimasto assai poco, ahimè – gli assetti normativi che non potevano reggere?

Innanzitutto, il voto capitario. I gruppi dirigenti di queste banche venivano selezionati per mera cooptazione, erano del tutto autoreferenziali; talvolta, per le esperienze che abbiamo tutti vissuto, erano espressione di soggetti che – adesso c’è la contrapposizione fra territorio e tecnocrazia – alla tecnocrazia neanche ci arrivavano come preparazione culturale, quindi erano realtà assolutamente inadeguate a reggere giganti di dimensioni nazionali che mi amministravano patrimoni di miliardi di euro.

Poi, da liberale convinto – uno dei pochi forse rimasti liberali e liberisti -, io non credo che si possano amministrare entità di queste dimensioni senza metterci il cash, perché poi le vicende che hanno riguardato i crack ci hanno consentito di andare a vedere le quote azionarie dei singoli amministratori e abbiamo visto, almeno con mia sorpresa, veramente con una critica severa, che questi amministravano – magari malamente – e poi avevano investito in quella banca poche decine o centinaia di migliaia di euro: patrimoni di miliardi amministrati, eccetera, da gente che aveva messo 10 mila, 2 mila, 50 mila, 100 mila, cioè, comunque, frazioni assolutamente irrisorie del capitale sociale. Poi, la mancata quotazione: anche qui secondo me i regolatori non hanno capito cosa succedeva. La mancata quotazione cosa faceva?

Faceva sì che il prezzo fosse fatto in maniera domestica; veniva fissato dal consiglio d’amministrazione sulla base di perizie che venivano presentate da professori universitari più o meno convinti delle forbici di prezzo che andavano a proporre. Tuttavia, questa quotazione domestica ha fatto sì che, in realtà, il pubblico degli azionisti, per decenni, era stato abituato a vedere delle azioni che crescevano sempre – magari poco, ma crescevano sempre – e che anche dopo la grande crisi del 2008 non scendevano, quando invece le altre azioni scendevano, generando nella platea degli azionisti e anche degli obbligazionisti l’idea che questa fossero sostanzialmente delle obbligazioni.

È qui il grande difetto: si è lasciato credere al popolo degli azionisti, che era variegato – credo anche a Bari, ma sicuramente, per quello che conosco, nel Veneto, in quanto c’erano tutti e tutti erano soci di queste banche, dall’operaio al capitano d’industria -, anche negli anni della crisi, che il valore fosse indipendente da quello che era nel mercato globale e questo è stato dannosissimo. Allora, mi sento di dire in quest’Aula, lasciando una testimonianza, che la vera responsabilità è certamente degli amministratori, è certamente della vigilanza che negli anni della crisi non ha capito fino in fondo quello che stava succedendo, ma è dei regolatori, che negli anni buoni, nei primi anni Duemila, non dovevano lasciar crescere queste banche a queste dimensioni; bisognava in quell’epoca imporre la trasformazione in Spa, non nel pieno della crisi, come fece il Governo Renzi – ahimè – travolgendo in particolare le popolari venete.

Detto questo, che riguarda Popolari venete e Popolare di Bari, io credo che però un tema rimanga oggi nel dibattito che stiamo affrontando, perché se è tutto giusto quello che è stato detto, che abbiamo necessità di investire delle risorse pubbliche per salvare il sistema, perché il sistema bancario è un ecosistema e nel sistema finanziario noi non possiamo permetterci che nessun correntista perda una lira, perché se no viene messa in crisi l’intero sistema, da qui anche le critiche al bail-in e a quello che ci è stato imposto in quegli anni, su cui non siamo stati attenti. Però, c’è una cosa da spiegare, sottosegretario Baretta, lei che è del Governo ed è veneto, perché bisogna spiegare soprattutto ai veneti, agli investitori veneti, perché la Banca Popolare di Bari, che nel 2010 era sicuramente in condizioni finanziarie meno favorevoli di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza, oggi sopravvive, mentre Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono scomparse.

Dobbiamo spiegare, bisognerà spiegare perché gli obbligazionisti subordinati di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza hanno visto sparire i loro risparmi e i loro investimenti, mentre gli obbligazionisti di Banca Popolare di Bari avranno la possibilità – almeno stando a quello che emerge dagli atti del provvedimento al nostro esame – di salvare i loro risparmi investiti in obbligazioni.

Ora, sul piano tecnico so perfettamente qual è la ragione: è una ragione di natura tecnica, c’è una sentenza, quella della Corte europea di giustizia sul caso Tercas, che ha cambiato le cose. C’è anche, come dire, un clima generale più favorevole, perché sappiamo tutti che oggi la Germania è più in difficoltà: i Länder della Bassa Sassonia, della Sassonia-Anhalt, hanno la necessità di salvare la Norddeutsche Landesbank, che ha sede ad Hannover, e quindi oggi c’è da parte anche dell’Europa un clima più favorevole rispetto agli aiuti di Stato che vengono erogati nei confronti di istituti bancari dei territori, però questo è un dato tecnico, non politico, sottosegretario Baretta.

Il FIR, che abbiamo tutti visto con piacere che andrà a dare qualche risorsa agli azionisti e obbligazionisti veneti, in realtà lascia un piatto di lenticchie; sono, cioè, piccole cifre, importi, per carità, utili, bene, perché il territorio sta soffrendo, sta soffrendo tanto e ha sofferto tanto, e quindi, se arriva qualche risorsa da parte del Fondo interbancario dei depositi, non è che positivo. Però, dico che la questione si pone, e si pone in modo chiaro: gli obbligazionisti della Banca Popolare di Bari vengono salvati, gli obbligazionisti di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca non sono stati salvati.

Queste cose, Presidente, dovrebbero, credo, in particolare essere spiegate e approfondite dal Parlamento nella famosa, ormai mitica, Commissione parlamentare d’inchiesta che è stata varata a marzo dell’anno scorso dal Parlamento. La vicenda della Commissione parlamentare d’inchiesta ormai si sta trasformando in una farsa: è stata votata dal Parlamento nel marzo del 2019, sono passati mesi, sono state fatte varie convocazioni, tutte di volta in volta sconvocate.

Adesso ce n’è una prossima, fissata per il 6 febbraio, mi pare, e non possiamo che compiacerci che questa Commissione possa partire, però non possiamo, anche sul piano politico, ma sotto questo profilo, dimenticare che questi continui ritardi, questi continui slittamenti, sono dovuti a un’incapacità di questa maggioranza, la maggioranza giallorossa, di individuare il presidente di questa Commissione e ai rischi che una presidenza sbagliata può determinare in questa materia così delicata. L’auspicio che Forza Italia, e mi accingo alla conclusione, Presidente, intende lanciare oggi nella discussione di questo decreto-legge, è che in questa prossima Commissione parlamentare d’inchiesta ci sia un approccio bipartisan. La stabilità finanziaria del Paese dovrebbe indurci tutti, tutte le forze politiche, credo, a considerarla un po’ alla stregua della politica estera, sulla quale, tendenzialmente, non ci si divide in Parlamento.

Le responsabilità dei crac vanno accertate nei tribunali, e lo stanno facendo nelle sedi penali, e andranno accertate anche in sede civile, perché sono state intraprese e verranno intraprese azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori; però sarebbe, credo, davvero importante per il Paese se, con riferimento a questa nuova Commissione d’inchiesta, si potessero discutere questi temi, al netto di quella che può essere considerata una becera propaganda, con serenità e un minimo di competenza. Ripeto, i temi da affrontare sono tanti: penso al voto capitario nelle società quotate; penso alla necessità della tutela del vero credito cooperativo, quello dei territori; penso al problema degli NPL, uno dei grandi temi che agitano le banche, perché hanno in pancia questi crediti non performanti, e, dall’altra parte, tante famiglie, che hanno, magari, gli immobili ipotecati e che se li vedono cedere a soggetti terzi e del tutto estranei, appartenenti al mondo della finanza.

Penso che in quella Commissione si dovrebbe anche discutere di un nuovo e più moderno modo di fare banca. Qui c’è il tema delle criptovalute, la tecnofinanza, temi su cui, volenti o nolenti, anche il nostro Paese dovrà confrontarsi negli anni a venire. Questi sarebbero gli auspici di Forza Italia, un partito responsabile, che guarda all’interesse generale; ma, ahimè, su questi temi, anche negli ultimi mesi, non abbiamo visto sorgere auspici favorevoli. In realtà, nonostante queste nostre speranze, si rischia l’ennesima ordalia. Non ci resta che sperare che qualcuno vada a rileggersi il monito, che giudico molto saggio, del Presidente Mattarella all’indomani dell’approvazione della legge sulla Commissione parlamentare d’inchiesta e ne tragga ammonimento.

Il voto pressoché unanime del Parlamento che si annuncia su questo provvedimento dovrebbe indurci, quindi, ad avere un approccio su questi temi più razionale e meno emotivo.