Barbara Maria Trenti concesse solo sequestro diretto per BPVi, la Cassazione le ha dato ragione ma Pg Gaeta era pro Cappelleri: «gip non doveva decidere sui sequestri»

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L’impasse che a maggio 2017 bloccò il sequestro di 106 milioni di euro chiesto dalla procura di Vicenza nei confronti di due manager e della Banca Popolare di Vicenza, fu dovuta a un provvedimento del gip (Barbara Maria Trenti, ndr) che non soltanto era «abnorme» ma, a seconda di come lo si guardi, si poteva basare su un presupposto «privo di senso», «del tutto distonico», perfino viziato da «vistosa patologia». E a sostenerlo non sono i magistrati vicentini, che contro quella decisione si appellarono alla Cassazione, ma lo stesso sostituto procuratore generale presso la Corte Suprema, Piero Gaeta, che nella sua (durissima) relazione aveva chiesto di accogliere il ricorso.
Le cose, si sa, andarono in modo opposto e a ottobre gli ermellini dichiararono corretta l’ordinanza del gip, finendo con l’accusare la procura berica di aver «determinato una situazione di stasi».

Un passo indietro. A gennaio 2017 gli investigatori chiesero di sequestrare 106 milioni all’ex dg Samuele Sorato, al suo vice Emanuele Giustini e alla banca. Il gip, dopo mesi di attesa, non solo dichiarò la competenza di Milano ma concesse anche il via libera al sequestro diretto (nel frattempo la bad bank non aveva però più alcuna liquidità) e non a quello «per equivalente» che avrebbe consentito di aggredire anche i beni degli indagati. Si bloccò tutto, in attesa che la Cassazione chiarisse due cose: a chi competevano le indagini (e a dicembre ha accolto il ricorso, sancendo la giurisdizione di Vicenza) e se il provvedimento del gip travalicasse i suoi stessi poteri.

Ora si scopre che l’esito di quest’ultimo ricorso, in fondo, non era affatto scontato. Il 10 ottobre, il sostituto procuratore generale Piero Gaeta aveva depositato una lunga relazione per rispondere al quesito di fondo: può un giudice che si dichiara incompetente disporre dei sequestri? La risposta, per il pg della Cassazione, era negativa: al massimo può disporre l’arresto, e già si tratterebbe di «un meccanismo ai limiti della compatibilità costituzionale, risultando palese lo sfregio provvisorio al principio del giudice naturale». Ma estendere questo potere alle confische «sarebbe privo di senso». Farlo, come avvenne a Vicenza, significa che la decisione del giudice è viziata da «patologia di massimo grado: vale a dire l’abnormità». Nell’atto del gip – osserva – «non vi è alcuna giustificazione circa la competenza della cautela adottata (…) il giudice si limita a restituire gli atti all’ufficio del pm, il che costituisce ulteriore e vistosa patologia».

Di conseguenza «si è in presenza di un provvedimento che vìola la regola fondamentale secondo cui ogni provvedimento giurisdizionale presuppone l’implicita affermazione della propria competenza da parte del giudice che lo emette». Se così non fosse «ne conseguirebbe l’effetto, a cascata, che qualsiasi giudice incompetente potrebbe adottare un provvedimento (…) ciò rende il senso della gravità della patologia che inficia l’atto in questione, neppure sorretto da alcuna giustificazione, foss’anche creativa…». Da qui la richiesta che fu rivolta ai giudici della Suprema Corte: annullare il decreto del gip anche «per la parte in cui rigetta la richiesta di sequestro ai fini della confisca per equivalente».

Come detto, la Cassazione ha invece dato ragione al giudice, dichiarando inammissibile il ricorso. E il sostegno ottenuto dal Pg, ora che è emerso, può solo rappresentare una magra consolazione per il procuratore Antonino Cappelleri. Ma resta il risultato finale: i sigilli non sono scattati. Solo ora che è iniziata l’udienza preliminare, potrebbero arrivare i «sequestri conservativi», che andrebbero ad aggredire il patrimonio degli imputati…

di Andrea Priante, da Il Corriere del Veneto