Base Usa, CorSera: triplicate le denunce per molestie ma non è facile avere la condanna. A Vicenza l’ufficio anti aggressioni sessuali

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Amy arriva con un’ora di ritardo, saluta veloce, si siede e piange. A meno di una clamorosa messinscena, il perché si spiega presto. «Sorry sussurra , vengo da un processo davanti alla Corte Marziale… La ragazza era disperata perché lui è stato assolto. Si è tolta l’uniforme dell’Us army, voleva andarsene…». Amy dice che è successo proprio mezz’ora prima: «Mi ha toccato il cuore perché l’esercito è un po’ la sua famiglia, ha fatto un giuramento sulla bandiera, i colleghi sono per lei fratelli… si è sentita abbandonata da tutti, capisci?… Sorry».

La donna di cui parla è una soldatessa di 19 anni della base americana di Vicenza che aveva denunciato un collega per violenza sessuale. A raccogliere la sua testimonianza era stata proprio Amy Braley, quarantaduenne americana del New Hampshire responsabile fino a qualche settimana fa di un ufficio che lei ha visto nascere e crescere fra le mura della cittadella a stelle e strisce della capitale palladiana. Un ufficio dal nome rivoluzionario per una base militare, Sharp, «Sexual harassment/assault response & prevention» (risposta e prevenzione alle molestie e aggressioni sessuali), coordinato oggi da Tanasha Stachelczyk. Dall’aprile 2015 Amy e i suoi colleghi (otto, a regime) si propongono di assistere le vittime di abusi, molestie e violenze sessuali degli abitanti delle due caserme beriche, camp Ederle e Del Din: in tutto circa 12 mila persone, fra militari (4 mila) e familiari, dipendenti civili americani e italiani (8 mila). Al di là della triste vicenda della soldatessa americana che le inumidisce gli occhi, Amy definisce l’esperienza italiana un successo. Nel senso che nei quasi tre anni di vita del Sharp, il popolo della Base, inizialmente diffidente, ha preso a bussare alla sua porta. «Le segnalazioni sono triplicate, erano 11 nel 2015, sono state 38 nel 2017, fino a novembre. Si tratta prevalentemente di donne ma anche di uomini e di familiari, pure italiani, che hanno subito abusi e violenze». Secondo i dati dell’ultimo rapporto della Difesa americana, calcolati sull’anno fiscale, cioè dal primo ottobre al 30 settembre dell’anno successivo, a Vicenza nel 2013 le denunce a Vicenza erano state appena 6. Mentre le altre basi americane in Italia, dove pure si sono creati uffici della stessa natura, raccontano una storia diversa: a Napoli sono scese nei tre anni da io a 8, a Sigonella da 9 a 4, ad Aviano sono rimaste grossomodo stabili, passando da 18 a 19. A Vicenza, un boom, ben sopra la media degli insediamenti dell’esercito Usa nel mondo. Come mai, dunque? «Non conosco la situazione degli altri Camp ma a Vicenza l’esperienzaè stata positiva, sempre che si possa parlare in questi termini di un fenomeno di violenze. C’è stata grande vicinanza con la gente, anche grazie al primo comandante che ho avuto. Lui, il generale Williams, proteggeva e amava la sua comunità e si è preso cura del mio ufficio. Abbiamo iniziato a fare tre lezioni a settimana per educare tutti a comportamenti rispettosi e anche a denunciare gli abusi. Le vittime si sono così sentite da noi protette e hanno parlato. Sono davvero soddisfatta del nostro lavoro. Ma sono anche un po’ dispiaciuta per quello che sta emergendo e anche per il fatto che devo lasciare Vicenza», riconosce.

I buoni risultati le sono valsi una promozione: Washington, dove si trova da gennaio. «Mi piace Vicenza e questa mescolanza che si è creata fra italiani e americani. Convivono in una bella simbiosi, dando vita anche a molte coppie miste con figli al seguito». Ma il suo ufficio non si occupa di nozze e di feste. Solo abusi, violenze, stupri. «Già, mai cose belle. Prima ero in Texas e seguivo le molestie sui bambini. Era più semplice, anche a livello emotivo. Perché con gli adulti, soprattutto donne, c’è sempre da lottare contro il sospetto della provocazione. La vittima deve dimostrare che non ha provocato il molestatore e questa cosa mi fa impazzire. Con i bambini il problema, almeno questo, non c’è».

L’onda lunga del caso Weinstein è arrivata anche a Vicenza, periferia dell’impero, dove la sensibilità e il coraggio rispetto al tema hanno registrato un’impennata. «Ma non tutte le denunce si sono tradotte in condanne». Il bilancio della lotta alle violenze sconta inoltre un vuoto. Secondo la Difesa Usa solo una minoranza delle vittime ha sporto denuncia. «La stima è del 32% per il 2016 riporta il documento Usa del novembre 2017 . Prima del 2014 erano meno del 15%. Per capire la portata del fenomeno il Dipartimento della Difesa sponsorizza indagini confidenziali». Il sogno di Amy è che quel numeretto, un giorno, si avvicini al 100%: «E che nessun soldato si strappi l’uniforme».

dell’inviato Andrea Pasqualetto, da Il Corriere della Sera