La posizione geografica della Riviera di Ulisse è sempre stata croce e delizia per i suoi abitanti: da un lato, un territorio che offre alture e spiagge, panorami d’acqua e rocciosi; dall’altro, un accesso via mare fin troppo scontato per chi voleva approfittare della sua collocazione privilegiata, strategica sia a livello economico/commerciale che militare.
È proprio in questo scenario che si inserisce la celebre battaglia del Garigliano che, nel 915, fu combattuta tra cristiani e musulmani.
L’antica Traetto – La storia di Minturno è collegata a doppio filo a quella dell’antica Traetto, la piccola comunità indipendente che si costituì nel suo centro storico collinare quando, tra il 580 e il 590 circa, i Longobardi (questa la versione più accreditata) invasero il perimetro della città. Nel ripercorrere la storia di questo minuscolo ma fiero agglomerato abbiamo visto come, in realtà, la sua identità sia rimasta saldamente ancorata al patrimonio culturale, sociale e tradizionale del circondario: d’altronde, Traetto tornò ad essere parte di Minturno soltanto nel 1879 e, quindi, oltre mille anni dopo la sua costituzione!
Questa identità, però, come spesso accade in tutti i centri abitati che affacciano sul mare, è anche il risultato di una contaminazione di popoli molto diversi che hanno vissuto pacificamente gli uni accanto agli altri, in qualche caso addirittura mescolandosi, oppure facendosi la guerra.
In effetti, Traetto è stata più volte distrutta e ricostruita: era una politica abbastanza condivisa quella di mettere a ferro e fuoco le città da espugnare per poi abbandonarle o rimetterle in piedi sotto i propri presupposti religiosi, civili e sociali (spesso allontanando, uccidendo o facendo schiavi i legittimi residenti). È successo anche nell’883, quando la città, ormai conquistata dai Saraceni, venne inizialmente rasa al suolo per poi rinascere come colonia musulmana. Una colonia che, come abbiamo avuto modo di valutare, potendo godere dell’appoggio delle figure di spicco della politica locale – e persino di alcune frange cristiane -, riuscì a stabilirsi senza troppi problemi e per un periodo sufficientemente lungo per arrivare a contaminare arte e usanze locali.
La battaglia del Garigliano fu lo scontro che mise fine a quest’epoca.
Il conflitto – L’insediamento musulmano di Traetto si inseriva in un panorama invasivo ben più ampio: poco prima, infatti, erano già avvenuti il saccheggio di Roma, l’assedio di Gaeta nell’846 e la distruzione di Montecassino nell’883. Le alleanze sorte con i nobili cristiani locali, quindi, infastidivano ancora di più la Chiesa, anche perché questa cooperazione non faceva altro che avvantaggiare i musulmani sul territorio e sulle sue divisioni.
I tentativi infausti di capovolgere la situazione furono almeno due (quello di Guido di Spoleto, persuaso dalla promessa di papa Stefano V di incoronarlo imperatore, e quello dell’alleanza Capua-Napoli-Amalfi-Benevento che nulla potè contro la combo Gaeta-Saraceni); nel frattempo, la consistenza musulmana in loco continuava a rafforzarsi attraverso nuovi arrivi di arabi provenienti dall’insediamento di Agropoli.
Solo nel 915 le sorti si capovolsero.
Papa Giovanni X, deciso a chiudere la questione una volta per tutte, riunì i nobili cristiani in una lega: ma anche le sue truppe dovettero innanzitutto imparare a lottare contro quella comunità. I primi approcci, infatti, furono fallimentari, probabilmente perché mancavano appoggi importanti. I Saraceni, intanto, seguitavano a saccheggiare e a diventare sempre più forti.
A quel punto la strategia da intraprendere fu chiara: aumentare il potere della lega attraverso altri patti e negoziati. I Capuani riuscirono a coinvolgere Bisanzio che mandò un’armata con a capo lo stratega e patrizio imperiale Nicola Picingli; si unirono moltissimi principi del Sud Italia (Salerno, Napoli, Benevento), Pugliesi e Calabresi; arrivò supporto dalle Marche, da Spoleto.
Si poteva finalmente dare battaglia al nemico.
Stabilite le tecniche di lotta e le successive spartizioni in caso di vittoria, venne pronunciato il giuramento santo:
“Noi vi promettiamo di non aver mai pace con essi [i Saraceni], finché non li abbiamo sterminati da tutta Italia. Di nuovo promettiamo a voi tutti soprascritti per Cristo Signore e pei meriti dei Santi e per tutti i sacramenti della fede che con tutte le forze e in ogni modo noi combatteremo i Saraceni e cercheremo di sterminarli e che d’ora innanzi non abbiamo e non avremo pace con essi in alcun modo”.
Si cominciò con piccoli agglomerati distaccati e, in questo modo, i cristiani riuscirono a portare a casa una serie di vittorie successive nei dintorni di Traetto, roccaforte fortificata dove i musulmani, quindi, si ritirarono.
L’assedio iniziò nel giugno 915 e vide contrapporsi l’esercito della Lega Cristiana, al comando di Giovanni X e di Alberico, marchese di Camerino e duca di Spoleto, e i Saraceni, capeggiati da Alliku. Le navi di Napoli, Gaeta e Roma sbarravano la strada via mare, mentre l’armata cristiana stanziò sulla riva destra del Garigliano: la battaglia fu particolarmente sanguinosa e durò più di tre mesi.
Quando i Saraceni, ormai fiaccati, si misero in fuga, dettero fuoco al loro stesso accampamento, rintanandosi in collina, dove riuscirono a resistere finché non finirono le derrate alimentari. La cronaca ufficiale vuole che provarono a raggiungere la costa per fuggire in Sicilia, venendo catturati e massacrati. Versioni più moderne, invece, parlano di altri “residui” di scorrerie che sarebbero avvenuti negli anni successivi, via mare, sul territorio oramai liberato.
Una cosa, però, è certa: con la battaglia del Garigliano, il covo dei Saraceni venne estirpato e si scongiurò un’invasione più massiccia che potesse risalire lungo tutta la Penisola.
Dopo la battaglia – L’area dove si svolse lo scontro è stata individuata con un certo grado di certezza: dovrebbe essere nell’attuale località Vattaglia, nome che evoca in maniera dialettale, appunto, la parola “battaglia”.
La vittoria sancì per Berengario, marchese del Friuli, l’incoronazione imperiale da parte del Papa, mentre il Duca di Spoleto e Camerino, Alberico I, venne nominato console di Roma. Giovanni I di Gaeta, infine, conquistò il titolo di patrizio, diventando Duca ed espandendo il suo feudo fino al Garigliano.
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