Berlato, le animaliste, Facebook e la fine della politica. Il filosofo Michele Lucivero: la maleducazione corre sul web

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Sergio Berlarto in tenuta da caccia
Sergio Berlarto in tenuta da caccia

La recente vicenda che ha visto come protagonisti Sergio Berlato, leader storico dei cacciatori, consigliere regionale veneto di FdI e a breve di nuovo europarlamentare, da un lato, e, dall’altro,  alcune decine di persone accomunate da interessi animalistici, poi rappresentate dall’Alleanza Popolare Ecologista (APE), è un chiaro esempio di come talvolta si arrivi a confondere i diversi piani della realtà in cui siamo immersi quotidianamente e ormai sovrapponiamo senza discernimento, salvo poi rendercene conto quando si giunge a conseguenze deleterie per la dignità dell’essere umano, di cui dovremmo essere degni rappresentanti.

Ma, andiamo per ordine. Accade che un personaggio politico, del resto abbastanza noto per sua coraggiosa lotta dall’interno al sistema Galan, la cui immagine, quindi, è stata resa pubblica ed esposta mediaticamente, pubblichi una foto (in copertina, ndr) in cui viene ritratto in divisa camouflage e fucile tra le gambe, in perfetto stile militaresco, ma senza avere il piglio marziale, bensì solo per manifestare una sua antica passione, quella per la caccia, che in Veneto, ma in maniera molto più consistente in Toscana, Lombardia, Lazio, Campania e Sicilia, accomuna molte persone.

Ecco, la battaglia contro la caccia, cioè contro l’uccisione per mero divertimento di animali indifesi, condotta da associazioni animalistiche è stata già al centro dell’agenda politica per ben due volte per mezzo di tre distinti referendum nel 1990 e nel 1997, ma purtroppo, a fronte di un elevatissimo responso favorevole a imporre misure maggiormente restrittive nei confronti della caccia, la maggior parte della popolazione italiana accolse l’appello di andarsene al mare nelle calde e assolate giornate di giugno, piuttosto che esercitare la facoltà di deliberare per mezzo di quello splendido istituto democratico, sempre meno utilizzato, che la nostra Costituzione ha previsto.

Partiamo, quindi, dal presupposto che potrebbe risultare di pessimo gusto, agli occhi di persone che sono impegnate nella difesa del diritto degli animali di esistere e di non essere ammazzati per gioco, esibire con fierezza i segni di un divertimento che reca con sé qualcosa di macabro, ma che, pur nel suo intento provocatorio, non costituisce alcun reato punibile dalla Legge, anzi è tutelato non solo dallo Stato, ma dalle Regioni e dalle Province, che ne stabiliscono i criteri, le zone e i periodi in cui quella che viene definita l’Ars venatoria può essere esercitata.

Se, dunque, vivessimo nel migliore dei mondi possibili, quello in cui le questioni si risolvono nei contesti appropriati, una massiccia contrarietà nei confronti della caccia, ripetiamolo, attualmente prevista dalla Legge italiana, sarebbe oggetto di una manifestazione di opposizione politica che potrebbe condurre, con un notevole impegno di tipo argomentativo, al contrasto, all’abolizione, all’abrogazione delle leggi che la consentono.

Gli attacchi a Berlato
Gli attacchi a Berlato

Invece no, non viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma in una realtà perfettibile, che necessita di un continuo sforzo di una buona educazione, sia nel senso comune di buone maniere sia nel senso più nobile di attività volta allo sviluppo e alla formazione di facoltà mentali, sociali e comportamentali in un individuo, per far sì che si cominci a distinguere i diversi piani della realtà e, soprattutto, per non lasciare che l’impegno per una buona causadiventi l’espressione più becera del nichilismo e della misantropia che ormai ci connota. E sì, perché è davvero curioso notare come l’impegno in favore degli animali e la battaglia per la loro difesa rinunci all’azione politica oppure alla tentazione argomentativa e ricorra all’insulto personale, chieda vendetta umana, auguri la morte ad un uomo, soprattutto attraverso la nuova frontiera della comunicazione, cioè i social network.

È ormai cronaca di tutti i giorni, in realtà, talvolta con esiti devastanti per i soggetti più deboli, l’accanimento mediatico attraverso i social network da parte di persone che preferiscono non mostrare il volto per esprimersi, abdicare alle argomentazioni e rinunciare all’esercizio della mano per chiedere educatamente il diritto alla parola e successivamente utilizzarla per deliberare a favore o contro.

Siamo, invece, preda di una rivoluzione che ha frammentato anche la visione d’insieme del nostro corpo, una ingestibile rivoluzione fisiologica che ha ridotto gli uomini e le donne perlopiù a occhi che guardano e dita che scrivono e, purtroppo, tutto ciò ha conseguenze anche sul piano della politica, il cui consenso viene ricercato e amplificato proprio su queste basi, all’interno di questa rivoluzione che è di natura prettamente antropologica e che necessita di una educazione adeguata.

L’effetto di questa cattiva gestione dei social network, intesi come strumenti che abbiamo a disposizione e che è evidente che non usiamo con la dovuta educazione, è che quella che sarebbe una legittima diatriba sulla caccia tra Berlato e l’Ape, anziché avere una soluzione politica, tipica di una società adulta in cui si è pienamente responsabili e dotati della facoltà di argomentare, ne avrà una giudiziaria, cioè sarà affidata ad un soggetto terzo che, come nelle condizioni tipiche di una regressiva età infantile, dovrà gestire e risolvere la campagna

Vignetta con insulti sessisti di Berlato
Vignetta con insulti sessisti di Berlato

di odio e invettive gratuite diffuse pubblicamente, a cui anche lo stesso Berlato non è riuscito a sottrarsi, rendendo pubblica, sulla sua pagina social, con inevitabili conseguenze giudiziarie, una vignetta che non avrebbe avuto alcuna conseguenza, se il contenuto fosse stato esposto in un’osteria veneta davanti ad un bianchetto dopo una battuta di caccia tra quattro vecchi cacciatori in tenuta camouflage.

Alla fine, questa vicenda ci mostra ancora una volta la necessità di arginare la maleducazione che corre sul web, dove ormai ci siamo ridotti solo ad occhi che guardano e dita che scrivono, uomini e donne disancorati dai propri corpi, che hanno rinunciato a dare espressione ai volti, che esprimono le emozioni, e alle mani, il cui potere, quello della chirocrazia, ha sempre avuto un significato profondo per la politica. In realtà, forse è alla proprio alla politica che abbiamo abdicato, ad essere adulti e a risolvere le questioni tra soggetti pienamente responsabili, e, invece, in qualità di minori inconsapevoli preferiamo affidarci alle sentenze della giustizia, perché forse, in fondo, non siamo che minori ancora bisognosi di autorità.

N.B. Il nostro opinionista Michele Lucivero è laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Bari e poi in Forme e Storia dei Saperi Filosofici presso l’Università degli Studi del Salento, dove ha conseguito anche il Dottorato di Ricerca in Etica e Antropologia, Storia e Fondazione. Ha conseguito anche il Diploma di Scienze Religiose presso l’Istituto “Italo Mancini” dell’Università degli Studi di Urbino.

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Giovanni Coviello