“Antonio Canova artista universale”, un libro del vicentino Gilberto dal Cengio nel Bicentenario della morte dell’artista trevigiano

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Antonio Canova
Antonio Canova

Il 13 ottobre 1822, in casa del suo vecchio amico Florian, a Venezia, il grande scultore Antonio Canova lascia per sempre questo mondo. Numerose iniziative, che muovono principalmente dalla cittadina di Possagnoluogo di origine dell’artista trevigiano, in cui è attivissima la Fondazione Canova onlus e dove svolge un’importante funzione il Museo Gypsotheca – sono volte a celebrare il bicentenario della morte di questo genio dell’arte, che cade proprio nell’anno 2022.

Un breve ed agile volume, appena stampato per conto di Editoriale Programma (Treviso) ed intitolato Antonio Canova artista universale, ci porta ad esplorare il mondo di Antonio Canova attraverso l’analisi della sua vita cosmopolita, che si svolse tra Roma, Venezia, la nativa Possagno e le principali corti d’Europa.

A ciò si aggiunge l’introduzione particolareggiata alle sue opere immortali, analizzate senza trascurarne i rispettivi aspetti formali, i significati ed i contesti: capolavori scultorei – ma anche pittorici e di architettura – che decantano temi immortali quali il mito antico, la danza, l’amore, la fede, la morte e l’armonia cosmica.

Tali molteplici contenuti sono affrontati includendo degli approfondimenti che riguardano i grandi personaggi che vissero al tempo di Canova, protagonisti della storia politica come Napoleone Bonaparte, Giorgio IV re d’Inghilterra, Ferdinando IV di Borbone e papa Pio VII (con i quali l’artista intrattenne rapporti non solo professionali, ma anche umani), oppure figure di spicco della cultura internazionale al pari di Quatremère de Quincy: tutti sommi estimatori di quella indimenticabile stagione dell’arte e della società – manifestatasi fra la seconda metà del Settecento e il primo trentennio dell’Ottocento – che fu il Neoclassicismo.

E questa è la mia prefazione, onorato della richiesta del prof. Gilberto dal Cengio:

Possano - Tempio di Antonio Canova (la foto è tratta da wikipedia)
Possano – Tempio di Antonio Canova (la foto è tratta da wikipedia)

“Antonio Canova è l’ultimo artista universale”. La definizione è di Vittorio Sgarbi e questo nuovo volume di Gilberto dal Cengio lo conferma, presentandoci Canova non solo come scultore che fa nascere magnifici capolavori, ma anche in qualità di architetto, diplomatico, strenuo difensore della giustizia, uomo con la schiena diritta che non ha paura di confrontarsi con un individuo iracondo come Napoleone. Questo libro ha una caratteristica importante: dopo averlo letto ci si ritrova così coinvolti nel “personaggio” Canova da voler approfondire le varie dimensioni di una figura così straordinaria. Avendo io la fortuna di vivere nella Terra di Antonio Canova e riconoscendomi totalmente nel suo amore per quella che definiva “Mia adorabile Patria” posso rileggere i tanti segni che ci ha lasciato e che caratterizzano il nostro Veneto; e mi piace sottolineare alcuni momenti della sua vita che trovo così emblematici. È appena ragazzino di dieci anni, quando stupisce gli astanti creando con il burro uno splendido Leone alato di San Marco; è già uomo maturo ma sempre profondamente schivo, riservato, e si fa travolgere dalla gente di Possagno per deporre la prima pietra del Tempio, domenica 11 luglio 1819: ma quella era la sua gente alla quale era così intimamente legato. L’uomo che Francois-René de Chateaubriand definì “il più grande scultore del mio tempo”, l’artista corteggiato dalle cancellerie e dai salotti più importanti d’Europa aveva sempre mantenuto un forte, fortissimo legame con la terra natia, omaggiandola, di una perla architettonica: il Tempio di Possagno, appunto. Il grande storico dell’arte Antonio Muñoz a questo proposito scrisse: “Canova non conobbe passioni, non inseguì i piaceri della vita, non apprezzò le ricchezze, concedendosi per solo lusso l’innalzare nel suo piccolo villaggio una superba mole, che tutti indicano come il tempio canoviano, ma che egli voleva fosse soltanto la chiesa di Dio nel suo paese. Malgrado la sua modesta intenzione, ogni angolo del tempio parla di lui”. Ma oltre alle doti di artista impareggiabile, vorrei ricordare l’uomo che non esita a far presente a Napoleone di aver decretato la fine della sua amata Serenissima, di aver sottratto infinite ricchezze e straordinari capolavori nelle terre occupate e che, dopo la morte del devastatore francese, in qualità di “Ispettore Generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato della Chiesa” riesce a recuperare una quantità impressionante di opere d’arte. Secondo lo storico Paul Wescher, le spoliazioni napoleoniche costituirono “il più grande spostamento di opere d’arte della storia”, e ancor oggi “è difficile stabilire con esattezza quante opere d’arte di valore unico andarono distrutte o disperse in quei giorni”: solo la determinazione e la passione del Canova riuscirono nella “missione impossibile” di far rientrare la bellezza di quarantuno carri trainati da duecento cavalli, per un peso totale di quarantanove tonnellate. Ma l’impresa più significativa di questa iniziativa canoviana fu quella relativa al rientro dei quattro cavalli nella Basilica di San Marco a Venezia. La quadriga, emblema di una stagione di rapine napoleoniche, era stata portata a Parigi nel 1798, collocata in un primo tempo alle Tuileries e spostata poi all’arco di trionfo di Place du Carrousel: ritornò a Venezia il 13 dicembre 1815 con l’attenta regia di Francesco I° d’Austria. Una dimensione, quella di Antonio Canova illuminato regista del recupero di opere d’arte trafugate, che continua ad essere relativamente poco conosciuta; e d’altra parte, se la stragrande maggioranza dell’intellighenzia veneta ed italiana continua a stravedere per Napoleone, deve per forza di cose ignorare la benemerita attività del Canova che “ripara” in minima parte i misfatti del conquistatore… Un motivo in più, invece, per esprimere ad Antonio Canova l’ammirazione, lo stupore e la gratitudine della sua adorabile Patria.”  

Ettore Beggiato