“Bigoli club” e veneti nel mondo: polenta e baccalà e crostoli sbarcano in Giappone, dove «il merito e l’impegno vengono riconosciuti»

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di Giuseppe Purgatorio e Domenico Letter 
Quando si parla di veneti nel mondo si pensa soprattutto al talìan, in Brasile, o all’Argentina, o al limite al Messico. Il Sol Levante raramente è associato alla terra veneta, anche se il giornalista vicentino Gian Antonio Stella nel suo importante saggio “Schei” scriveva che i veneti «lavorano come giapponesi». Tuttavia esiste, a Tokyo, un “Bigoli club“. Abbiamo contattato il suo fondatore, Domenico Letter, che ci spiega come e perché è nato e di cosa si occupa.  «Io sono venuto in Giappone il 7 luglio 1975 senza programmi precisi – spiega – ma non volendo comunque perdere tempo ho cominciato subito a studiare la lingua immaginando che questo mi avrebbe in qualche modo garantito un buon lavoro.E il Giappone non l’ho più lasciato se non per le vacanze o viaggi di lavoro.L’idea di fondare il Bigoli Club è venuta per genesi naturale,in quanto in quegli anni era molto difficile incontrare persone non giapponesi a Tokyo».
«Ci si incontrava sporadicamente,ma un po’alla volta il numero degli stranieri,e quindi degli italiani e dei veneti,è venuto aumentando e così ci siamo proposti di organizzarci in modo tale da poterci incontrare periodicamente.Il Giappone oggi è un paese molto popolare,specialmente fra i giovani,e volare ha costi più ridotti di 45 anni fa. Gli italiani residenti da poche centinaia che erano allora sono adesso alcune migliaia,se non di più,senza contare i turisti che prima del coronavirus si aggiravano sulle 150.000 persone all’anno. Ci sono alcune centinaia di veneti,attivi in tutti i campi,dai dirigenti d’azienda,agli importatori,cuochi,dipendenti d’ambasciata,missionari,professori,sportivi e tutta una serie di giovani che lavorano nei campi del manga,dei video giochi ecc.Il Bigoli Club è nato nella seconda metà degli anni 80 quando in qualche modo siamo riusciti a valorizzare le esperienze di alcuni di noi per metterle a beneficio del club stesso.Abbiamo chiesto agli importatori di prodotti alimentari di rifornirci a prezzi da grossista,ai dirigenti di azienda di accoglierci nelle loro case con terrazze spaziose,ai cuochi di prepararci i nostri piatti tradizionali,il cervo,i bigoli con l’arna,la polenta e il baccalà,i crostoli e così via». 
«Sono tutte cose che a Tokyo o non si trovavano o costavano il cosiddetto occhio della testa. Così abbiamo organizzato anche eventi con persone di altissimo livello. In particolare,ricordo il vicentino Federico Faggin che ospitammo in una cena bellissima al ristorante italiano del Keio Plaza Hotel quando venne in Giappone nel 1997 per ricevere il prestigioso Kyoto Prize,un riconoscimento considerato la versione giapponese del premio Nobel.Abbiamo avuto modo anche di festeggiare il violoncellista Mario Brunello di Castelfranco,amatissimo dagli appassionati di musica classica e un beniamino dei critici musicali giapponesi.Ed anche il comico veneziano Ennio Marchetto,Il cui spettacolo ci ha fatto letteralmente morire dalle risate».

«Alla fine del 1984 io sono entrato in Ambasciata come interprete e traduttore essendomi in precedenza laureato in Lingua e Letteratura Inglese all’Università di Padova-Sezione di Verona,e successivamente in Lingua Giapponese presso l’Università degli Studi Esteri di Tokyo. Sono rimasto in Ambasciata per 35 anni fino alla fine di giugno del 2019 principalmente all’ufficio Stampa e poi all’ufficio Politico. In questo ambito ho lavorato con numerosi esponenti di primo piano della nostra vita politica ed economica e ho avuto modo di intrecciare una fitta rete di relazioni in Giappone nel mondo politico,dei media ed in quello economico.Attualmente aiuto alcune aziende italiane ed europee a svilupparsi in questo mercato.Tokyo è molto diversa dalle provincia perché in Giappone esiste un divario molto forte fra grandi metropoli e province. Gli abitanti di Tokyo e di altre grandi metropoli sono abituati a viaggiare,conoscono il mondo e si sentono a proprio agio anche quando non abbiano una padronanza della lingua inglese,ma questo non significa che molti non la parlino piuttosto bene. Gli abitanti di Tokyo hanno la consapevolezza che la loro è una metropoli inferiore a nessun altra al mondo E sanno benissimo che cosa possono e vogliono ottenere. Ma amano anche mantenere un tono di sobrietà».

«Per contro i giapponesi di provincia sono poco abituati a trattare con gli stranieri e sono meno propensi a volgere lo sguardo alla cultura e ai consumi occidentali. Preferiscono restare nella loro cultura e bisogna dire che a volte qui si trovano dei veri gioielli ancora poco conosciuti,spaziando dalle prelibatezze alimentari fini a forme tradizionali di spettacolo.Vivere a Tokyo non è facile nemmeno per i giapponesi,e per un occidentale,diciamo per un italiano,abituarcisi richiede una determinazione consapevole. Aiuta molto sapere che l’impegno serio nel lavoro come nelle relazioni sociali in genere viene riconosciuto e premiato».

«Anche io ho l’impressione che per i veneti sia più facile adattarsi al Giappone di italiani provenienti da altre regioni. Sia noi che loro siamo abituati al cosiddetto “sacrificio”. Credo che per quanto riguarda il lavoro,forse anche noi veneti abbiamo qualcosa da imparare da loro;i risultati che hanno ottenuto lo dimostrano».«Per quanto riguarda poi il divertimento,in Italia,chissà perché,ci si è fatti un’idea un po’triste del modo di vita dei giapponesi. Invece,i giapponesi sanno divertirsi,eccome! Ad esempio il successo in tutto il mondo del loro karaoke – conclude Letter – lo dimostra ampiamente,ma anche cose come il cosplay,che con altro nome e modalità appena un po’ diverse, esisteva già 45 anni fa».

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