E così giovedì 27 ottobre il Senato della Repubblica italiana ha deciso di affossare il DDL Zan sulle “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” e l’ha fatto in maniera plateale, con applausi scroscianti, risate e bagarre di esultanza per aver impedito, in fondo, che la proposta scritta dal deputato padovano Alessandro Zan e sostenuta dalla Sinistra di Liberi e Uguali, dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle, già ampiamente rimaneggiata, diventasse legge dello Stato italiano.
Il centrodestra, quello che ha esultato in Senato, ha avuto, evidentemente, in quel preciso momento, la percezione di aver vinto una battaglia su un campo, abbastanza confuso in realtà, che dovrebbe essere politico, ma che poi si rivela meschinamente ideologico, confessionale, pregiudiziale.
Intanto Renzi e il suo gruppo di Italia Viva, che in realtà come movimento politico era già morto all’atto di nascita, sono ritenuti i responsabili di questo stop al DDL Zan, che, oltre al fallimento sociale, è anche un fallimento culturale, perché il Matteo nel bel mezzo di una battaglia civile, che avrebbe segnato la storia della nostra Repubblica, come è accaduto per la legge sull’aborto, la legge sul divorzio, la legge 104 per l’inclusione delle persone con disabilità, lui se n’è andato a Riad, in Arabia Saudita, proprio dove i diritti umani fondamentali, tra cui la libertà di stampa, di espressione, di associazione e riunione non sono poi così rispettati e sono perseguitati con la pena di morte, come testimonia il Rapporto di Amnesty International.
E la cosa interessante è che da Riad il Renzi tuona contro il PD e il M5S perché, a suo dire, non hanno voluto mediare sul Ddl Zan e sono risultati incapaci politicamente, che, detto dall’Arabia Saudita e dal suo modello politico, fa un certo effetto e la dice lunga sul modello di società civile che vorrebbe rappresentare Italia Viva al seguito del “Rinascimento Saudita”.
Insomma, c’è poco da ridere e da esultare quando vengono negati i diritti delle persone più deboli, siano esse persone con disabilità, donne, omosessuali o minoranze culturali, e non si capisce perché una legge che, in linea di principio, dovrebbe garantire maggiori diritti e tutele debba essere avversata nel nostro Parlamento, quando in Norvegia una legge simile esiste dal 1981 e nel 2020 è stata addirittura inasprita da un governo di destra.
Chi ha perso con l’affossamento del DDL Zan in Senato è, in realtà, tutta la società civile italiana o, detto altrimenti, la partita che il Senato ha fatto perdere alla società civile italiana, che poi scende spontaneamente in piazza il giorno successivo a Roma e a Milano, ha a che fare con l’accettazione e l’inclusione sociale di persone che restano ingiustamente e inutilmente al margine. Quella che abbiamo perso è una battaglia politica necessaria per la liberazione di talenti, di soggettività, di personalità a tutto vantaggio della società civile, sulla quale le religioni, i partiti e la politica retrograda in generale farebbero meglio a farsi da parte per lasciare che l’umanità, nella sua multiforme varietà, si faccia avanti.
Abbiamo più volte richiamato la necessità di distinguere la Politica istituzionale, quella che in inglese va sotto il nome di Politics, dalle Politiche pubbliche, quelle necessarie perché discendono da conquiste civili per l’allargamento della base dei diritti, le Policy in inglese. E, ancora una volta, ci troviamo a registrare un incredibile, colpevole e pietoso ritardo delle Politics rispetto alle Policy, un ritardo che viene sbandierato, tra l’altro, come vittoria davanti all’opinione pubblica e le cui conseguenze non tarderanno ad essere visibili nelle nostre pagine di cronaca.
È preoccupante, in realtà, per chi ha un minimo di senso e prospettiva storica, assistere ripetutamente a colpi di coda, a rigurgiti retrogradi gestiti male dalla politica e peggio dai mezzi di comunicazione, la cui imparzialità, che poi dovrebbe essere la lotta per la propria indipendenza e libertà, lascia molto a desiderare.
Eppure c’è una considerazione da fare, oggi come cento anni fa, davanti al rigurgito retrogrado e fascistizzante della nostra società, intendendo per fascismo tutto ciò che sostiene convintamente la necessità della discriminazione. La considerazione è che nella polarizzazione tra una sinistra, che, nelle accuse, spinge per la fluidità dei generi, per la cancellazione della natura umana, per l’abolizione dell’identità culturale e la tradizione, e una destra, tendenzialmente e storicamente populistica, tecnocratica, elitaria, profondamente disegualitaria, per dirla con Norberto Bobbio[1] in un libro che Renzi dovrebbe conoscere molto bene, dal momento che ne ha scritto una postfazione accanto, a nostro avviso immeritatamente, a Daniel Cohn-Bendit, l’ago della bilancia è costituito proprio da quel centro liberale e democratico, che poi tende sempre verso la limitazione e non l’estensione dei diritti civili.
E, allora, ci piace richiamare ancora una volta Luciano Canfora, quando in un testo illuminante dal titolo Democrazia. Storia di un’ideologia affermava: «Si considera sgarbato dire che – nel primo dopoguerra – le “liberal-democrazie” hanno via via “passato la mano” ai fascismi al fine di sbarrare la strada alle sinistre. Ma, eventualmente, la cosa si può dire in modo più elegante e certamente più puntuale. I ceti che sorreggevano i partiti che sino ad allora avevano governato (liberali, radicali, ecc.) hanno tolto loro man mano ogni credito, hanno perso fiducia nella “democrazia parlamentare” e hanno optato per il fascismo. Le tensioni sociali, la “paura”, il discredito dei sistemi parlamentari hanno spostato l’opinione centrista-moderata verso tale sbocco»[2].
Ecco, negli ultimi anni abbiamo assistito al medesimo scenario di cento anni fa: il discredito nei confronti dei sistemi parlamentari sostenuto dal Movimento 5 stelle, insediatosi poi sugli stessi scranni della politica istituzionale; la paura istillata nella popolazione da uno stato di emergenza e di eccezione continua a causa delle calamità, dell’immigrazione, della pandemia; le tensioni sociali derivanti dagli scenari economici nazionali e internazionali, con la Cina che domina il mercato della componentistica elettronica e metalli; e, infine, ci si mette pure Renzi d’Arabia, il quale, da autentico liberale, si fa i suoi conti e vira, non solo per il DDL Zan, decisamente a destra, verso uno sbocco che ormai diventa sempre più chiaro.
[1] N. Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli, Roma 2014.
[2] L. Canfora, La democrazia. Storia di una ideologia, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 231.
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a cura di Michele Lucivero
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