(Articolo da VicenzaPiù Viva n. 7, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
«E non finisce mica qui!» diceva sardonicamente Corrado al termine di una esibizione e prima della reclame nella sua Corrida degli anni 80. Spettacolo televisivo preceduto dal medesimo format in modalità radiofonica andato in onda dal 1977 al 1979. Un talent show. Mio padre terminato il mercato del sabato a Schio, si sedeva a tavola alle 13, accendeva la radio ed iniziava ad ascoltarlo. Risate ed applausi allietavano i sabati dei vicentini all’ora di pranzo. Avrei potuto scegliere la tv, sempre alla medesima ora, con Oggi le Comiche tra Stanlio e Ollio, Charlie Chaplin, Ridolini e Buster Keaton. Ma preferivo ridere con mio padre ed assaporare l’ironia del presentatore mai dimenticato.
E come il sabato a pranzo si rideva con Corrado, il lunedì sera la Città si fermava. Le strade erano deserte (non che adesso pullulino di umanità) perché alle 20.30 iniziava il film (non alle 21.45 come oggi). Tutti i lunedì sera. Un appuntamento immancabile delle famiglie vicentine.
Tra kolossal e commedie americane degli anni ‘50. Vicenza era anche questo. Ma non solo. La città berica in quegli anni d’Eldorado sociale annoverava moltissimi centri di aggregazione, punti di incontro, negozi che oggi verrebbero considerati ‘di nicchia’.
Superata Contrà SS Apostoli e l’ex distretto sanitario, trovavamo un negozio di abiti usati tra il kitch e il contemporaneo (di allora) Arsenico e Vecchi Merletti, la lavanderia Pulilampo
(che ancora oggi nello stesso punto svolge la sua attività), Momprè anche questa una bottega di abiti molto ampia a due piani (dove oggi lavora invece una agenzia viaggi), Pozzan colori e prima di Ponte San Paolo la Sartoria Meneguzzo poi denominata Papà Aldo in memoria del padre, per l’appunto sarto.
Le pasticcerie vicentine poi erano semplicemente deliziose. Al loro interno brillavano pastine capolavoro, non solo per il gusto ma pure per l’aspetto e, come si sa, pure l’occhio, non solo il palato, voleva la sua parte. Tra loro Sorarù con il vecchio gestore Virgilio al quale è succeduto il figlio Giorgio, l’Offelleria Meneghina (da offa – focaccia di farro degli antichi romani), Rudatis, Venezia, Guerceri (in Corso Palladio posta al piano superiore di ove oggi troviamo Scout), Goriziana a Santa Chiara, Rigo (in Viale Quadri) creatore della Bignolata (ricetta tramandata ai successivi subingressi della pasticceria fino ad arrivare all’odierna Bertuzzo di Viale Trieste) farcita di uno zabaione buono come l’ἀμβροσία (ambrosia), cibo dell’immortalità di cui si nutrivano gli dei omerici.
Ed il viaggio tra i negozi anni 70/80 del centro certamente non finisce qui. Indimenticabili la merceria e rivendita di materassi all’angolo tra contra Pescaria e Piazzetta Neri Pozza, l’orologeria e strumenti di pesatura Baron, la cartoleria posta tra De Bernardini Giocattoli e l’osteria al Bersagliere, all’interno della quale ci si si inebriava del profumo del legno delle matite. Salendo in Piazza delle Erbe, oltre al mercato ortofrutticolo la cui merce veniva venduta all’interno di deliziose casette, la Bortolotto polleria, la salumeria adiacente la farmacia al Redentore et dulcis in fundo Stocco Alimentari in Contrà Catena che vantava il motto ‘Orzo tre Stocco’ per onorare i tre figli che la famiglia aveva procreato.
E sotto il Palazzo degli Uffici Comunale una galleria anch’essa ospitante molti negozi ed il Circolo dei dipendenti del Comune di Vicenza.
La nostra Piazza dei Signori poi, oltre alle gioiellerie dalla notte dei tempi sempre ospitate dal capolavoro del Palladio, sotto la basilica, ospitava La Taverna, una pizzeria che ancora genera in me ricordi inquietanti. La stessa infatti era stata allestita come una grotta, degna dell’esplorazione dei migliori speleologi, con tantissime finte stalattiti che pendevano dal tetto del locale. E credete a me… quando ci andavo a mangiare la pizza con gli amici di sempre, non potevano non frullarmi in testa le parole dell’iscrizione posta nell’Antinferno dantesco «Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate».
E come non citare i leggendari negozi di dischi De Beni e La Casa del Disco dove i ragazzi d’allora, tra i quali il sottoscritto, amavano sputtanarsi la mancetta settimanale per comprare il più recente 45 giri in vinile a 1500 lire o quando andava meglio un bellissimo LP 33 a 6000 lire.
Quanto tempo passato in quei locali, ad indossar cuffie per scegliere quel pezzo che avevamo sentito in discoteca ma non ne conoscevamo il titolo.
I più audaci grazie ad un inglese maccheronico magari azzardavano direttamente l’acquisto (senza passare da un preliminare ascolto) ma per i proprietari del negozio era veramente una ‘mission impossible’ la comprensione di quanto veniva cianciato. Tra tutti gli esempi ecco i casi di scuola (e non sono balle! Ma fatti realmente accaduti e poi divenute leggende metropolitane vicentine): la canzone Ring my bell di Anita Ward (brano del 1979) spacciata per ‘ninna bo’ o peggio, al contrario, Live e chive dell’Anonima Magnagati (ossia in dialetto veneto lì e qui) inglesizzata in ‘Laiv and Ciaiv’.
Piazza dei Signori poi è sempre stata (molto meno oggi grazie agli offendicoli, reti ed altre misure per il contenimento attivati dalle proprietà e dal comune) una piccionaia. Centinaia dei predetti uccelli infatti albergavano in tutti i palazzi circostanti sorvolando in circolo ed
ombreggiando tutta l’area quasi in modo hitchcokiano. E come non potrebbe essere stato altrimenti, considerato che tutti i genitori portavano in piazza i loro figli solo per fare rincorrere i volatili e soprattutto dargli da mangiare il mais che veniva acquistato in sacchetti da 10 lire in un piccolo negozio sito in Contrà delle Morette oppure dai commercianti ambulanti che quotidianamente stazionavano davanti alla Torre Bissara.
Il cibo pertanto per gli stessi non mancava mai (come potevano andarsene?) ma nemmeno l’acqua in quanto proprio ai piedi della Torre vi stava (c’è ancora ma non più funzionante) un abbeveratoio a mattonella dal quale continuamente la stessa fresca sgorgava.
E il ‘come eravamo’ non poteva concludersi senza parlare di Sport, del Lanerossi Vicenza ossia della Nobile Provinciale e del suo mitico stadio Menti.
Code kilometriche per acquistare i biglietti nell’annata 1977/1978. Fila che iniziavano davanti a quelle fessure del muro perimetrale dello stadio dalle quali poteva spuntare fisicamente solo la mano del bigliettaio che mai avresti avuto, per tal motivo, il piacere di vedere in faccia.
Chi le pensò senz’ombra di dubbio aveva pensato alle feritoie o balestriere tipiche dei manieri medievali. Noi ragazzi ovviamente potevamo permetterci finanziariamente solo le parterre (la tribuna e i distinti rimanevano un sogno irraggiungibile: una chimera) ossia la partita vista al di sotto della quota campagna.
In poche parole: in piedi, al di sotto del livello del prato, con la rete, le panchine delle squadre e i cartelloni pubblicitari davanti. E a chi andava male anche la panchina con i carabinieri e poliziotti che stavano seduti agli angoli del campo. E a meno non si saltasse ininterrottamente per tutti i 90 minuti, quando una squadra segnava, ci si guardava in faccia e ci si chiedeva: Chi ha fatto goal? Noi o loro?
Ma si sa il tifo unisce, affratella (forse). Chi stava pertanto nella mitica curva sud (rialzata come la Nord, le tribune e i distinti) avendo pietà per i parterristi tendeva loro le mani in basso e con forza li trascinava sopra. Così era!