La soddisfazione, diffusasi in molti ambienti della società civile, per l’esito del primo grado del processo civile per diffamazione, vanamente intentato dalla società costruttrice del complesso di Borgo Berga ai danni di alcuni noti esponenti ambientalisti, è innegabile. Tuttavia vanno ricordate almeno due cose: la prima è che il processo non è ancora formalmente definito, poiché l’ordinamento riconosce al soccombente la facoltà di esercitare, in un determinato termine, il diritto di impugnazione. E non essendo questo termine ancora scaduto, la sentenza pur “provvisoriamente esecutiva”, potrebbe dover trovare conferma in ulteriori gradi di giudizio.
La seconda è che, in ogni caso, quello che è stato scritto è già di per sé un fatto che può essere commentato.
Come ho già scritto in precedenza, la peculiarità di questa sentenza sta nell’aver esposto con precisione i fatti sui quali il convincimento del giudice si è formato. Su di essi il lettore può dunque autonomamente formarsi un’opinione. Contestualmente, il giudice fornisce anche i riferimenti giuridici che – a suo giudizio – hanno guidato la decisione. Ed anche questi sono passibili di commento.
In realtà, nel processo sono stati discussi molti altri aspetti inerenti alla fondatezza della domanda e le motivazioni della sentenza avrebbero potuto essere anche molto più estese. Tuttavia il giudice, rispettando il principio di economia processuale, ha scelto di limitare l’esposizione alle ragioni reputate di rilievo determinante, specificamente funzionali a dirimere la controversia tra i privati. Sicché, certi argomenti, che per la loro latitudine più interessano la comunità locale, quali la libertà di pensiero e di critica, l’interesse pubblico, le discrasie emergenti nell’amministrazione dell’ente territoriale locale e finanche in quella della giustizia, emergono dalla narrazione giuridica soprattutto come riflesso del contesto storico che rende putativamente giustificabili le critiche dei cittadini.
Benitenteso, nel merito delle ragioni di questo contesto, il giudice non può prendere partito; tuttavia, quasi come in una tragedia shakespiriana, descrivendo scrupolosamente certi fatti (qui lo stralcio della sentenza in prima istanza, ndr) egli dà modo al “pubblico” – se lo vuole – di trarre da sé delle conclusioni.
In un epoca in cui la fiducia nelle istituzioni pubbliche e quella stessa circolante tra i cittadini è in preoccupante sofferenza, credo perciò che debbano essere salutate con sollievo le parole “istituzionali” del giudice Stefania Caparello (nella foto con alcuni colleghi, ndr), specialmente là, dove esse danno vita, evocandoli espressamente, i fondamenti democratici: un segnale importante a favore del virtuoso funzionamento del sistema costituzionale formale.
Nulla però è immutabile ed è proprio la società civile a dover essere protagonista dell’evoluzione virtuosa della cosiddetta costituzione “materiale”.
La sentenza n. 927/2020 del Tribunale di Vicenza è particolarmente importante proprio perchè parlando “della” società civile, parla anche “alla” società civile.
E sono parole sottese di concreto incoraggiamento a proseguire, nei corretti binari già intrapresi, nella difesa di un sistema che è stato pensato per essere autenticamente democratico, attraverso la partecipazione attiva, “critica”, seria ed informata, alla gestione del bene comune.
Vanno dunque ringraziati Paolo Crestanello, che ho difeso direttamente nel procedimento, Giovanna Dalla Pozza, Adriano Battagin e Luigi Lazzaro, che a nome e con il supporto solidale, rispettivamente, del Comitato Antiabusi Edilizi di Vicenza, di Italia Nostra e Legambiente, nonchè concretamente coadiuvati da alcuni esponenti politici tra i quali l’ex senatore cinquestelle Enrico Cappelletti e l’on. Sara Cunial, hanno sopportato in prima persona i costi morali e materiali di una azione civile di grande rilevanza per la comunità locale.
Non siamo però a un capolinea e molte domande di legalità – alcune delle quali sorgono spontanee dalla lettura della sentenza in discorso- ancora attendono risposte dall’amministrazione comunale berica, dalla magistratura e dal Ministero (MIBACT).
Il popolo italiano è oggi in grande in fermento e avverte il bisogno di ottenere dalla proprie istituzioni pubbliche, in quanto repubblicane e democratiche, riscontri autorevoli e non autoritari.
Un compito, del resto, che spetta anche ai cittadini – che della Repubblica sono parte costitutiva ed esponenziale – sull’esempio, se mi è concesso, di quanto stanno facendo coloro che qui ho ringraziato: cooperando e vigilando per garantire la legalità del sistema istituzionale e l’applicazione dei precetti costituzionali.
La lettura della sentenza in commento sul caso Borgo Berga, può dunque, a mio parere, costituire una traccia stimolante per costruire un dialogo – non più carsico – tra i cittadini e le loro istituzioni pubbliche.
Un buon viatico per vivere con rinnovata letizia l’odierna Festa della Repubblica.
Avv. Francesco Buso