Gli ex azionisti di Bpvi presentano un conto plurimilionario a Bankitalia e Consob. Alcuni noti imprenditori veneti, a cominciare da Renè Fernando Caovilla che ai tempi d’oro figurava tra i primi venti soci dell’istituto di credito berico, chiedono di condannare i due organi di controllo «per omessa o negligente vigilanza» sull’attività svolta dalla banca e culminata nel crac. A pronunciarsi sulle loro domande saranno i Tribunali civili di Vicenza, Venezia e Padova: con un’ordinanza depositata nei giorni scorsi, infatti, le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario.
IL VALORE
In ballo sono quattro cause, tutte patrocinate dagli avvocati Mario Azzarita e Andrea Reggio d’Aci e basate su argomentazioni simili. La richiesta danni più ingente è quella presentata dal veneziano Caovilla, il re delle calzature di lusso, e dalla sua azienda Caovilla 1899, rispettivamente per 14 e 4 milioni di euro. L’industriale contesta alla Banca d’Italia e alla Commissione nazionale per le società e la Borsa (Consob) di non aver impedito alla Popolare di Vicenza «di attribuire, falsamente, alle azioni un valore improprio applicando criteri di calcolo non corretti e di falsificare i dati patrimoniali in modo da apparire una banca solida, sicura ed in continua crescita patrimoniale».
Prima di precipitare a 10 centesimi, i titoli erano arrivati a valere 62,50 euro. Bankitalia viene accusata di aver omesso di vigilare «sul contenimento del rischio, sulla stabilità patrimoniale e sulla sana e prudente gestione della Banca vicentina», Consob «sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti della stessa, compito finalizzato anche alla tutela degli investitori, omissioni ancor più gravi in quanto intervenute in un periodo nel quale erano stati lanciati dalla predetta Banca vicentina consistenti aumenti di capitale».
Decisioni assunte dal consiglio di amministrazione e ratificate dall’assemblea dei soci, su cui i due organi di vigilanza non avrebbero svolto i dovuti controlli, al punto da non rilevare «la scorrettezza della metodologia utilizzata per determinare il prezzo dei propri titoli, né la falsificazione dei dati rappresentati nei bilanci, comunicati agli investitori, riflettenti il valore dei titoli e degli indici di stabilità rappresentati nei prospetti informativi», dal momento che Bpvi aveva «scorrettamente finanziato la propria clientela per l’acquisto delle azioni, senza dichiararlo in bilancio, attraverso il meccanismo del cosiddetto capitale finanziato».
Si trattava delle baciate: prestiti che l’istituto di credito aveva concesso per far comprare, in tutto o in parte, le proprie azioni. Al riguardo Caovilla e la sua società lamentano «di essere stati indotti a sottoscrivere contratti di investimento di titoli altamente rischiosi, in assoluta carenza e/o inadeguatezza dei presidi inderogabili di correttezza e buona fede ed in stato di assoggettamento al dispotico potere della Bpvi».
IL MERCATO INTERNO
Considerazioni analoghe riecheggiano anche negli altri tre procedimenti. Per esempio in quello promosso dai padovani Roberto Sbettega, Vittoria Rampazzo, Rino Schiavon, Lucia Carraro, Luciano Schiavon, Adriana Chierchia, Maurizio Tamborin e dalle ditte Nord Inox e Steelway. Oppure in quello avviato dal vicentino Nicola Morato, che lamenta un danno di 563.145 euro. O, ancora, negli atti relativi ai vicentini Paola Corrà, Massimo Vicentini e Maria Teresa Corrà, che si erano impegnati «a non ridurre la consistenza del loro pacchetto azionario al di sotto della sorte capitale residua del debito della Corrà Group» e avevano conferito mandato a Bpvi «a vendere le loro azioni e ad utilizzare il ricavato per soddisfare il credito» vantato nei confronti della finanziaria di famiglia, ma avevano «vanamente tentato di vendere le azioni nel mercato interno dei titoli della banca».
LA COMPETENZA
Dopo essere convenuta in giudizio insieme a Consob, Bankitalia ha promosso un conflitto di giurisdizione davanti alla Cassazione, chiedendo di dichiarare la competenza del giudice amministrativo. Le sezioni unite hanno però affermato questo principio: «Sulle domande proposte dagli investitori ed azionisti nei confronti delle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e Consob) per i danni conseguenti alla mancata, inadeguata o ritardata vigilanza nei confronti delle banche ed intermediari, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, non venendo in rilievo la contestazione di poteri amministrativi, ma di comportamenti doverosi a loro favore che non investono scelte ed atti autoritativi, essendo dette autorità tenute a rispondere delle conseguenze della violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché delle norme di legge e regolamentari relativi al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza».
di Angela Pederiva, da Il Gazzettino