Banca d’Italia non è sul banco degli imputati nel processo BPVi e non ci sarà in quello, se e quando ci sarà, per Veneto Banca, dove Vincenzo Consoli sarebbe l’accusato (stavolta addirittura al singolare) predestinato alla gogna giudiziaria, dopo aver già subito quella mediatica oltre che gli arresti domiciliari e confische varie.
Questo a differenza dell’altro presunto dominus delle ex Popolari del nord est, Gianni Zonin, che assiste così beffardo a tutte le udienze, alternando lacrime in aula a interviste promozionali appena ne esce, da apparire lui il giudice non solo degli imputati che gli avrebbero nascosto tutto in 20 anni di presidenza, peraltro retribuita con fior di milioni di euro, ma anche di chi, tra accusa e tribunale, osasse pensare diversamente.
Ad evidenziare la sempre più evidente discrasia tra le due situazioni c’è spesso Giovanni Schiavon, non uno qualunque, ma uomo di legge (è stato presidente del tribunale di Treviso) e di banca (è stato vice presidente di Veneto Banca per il breve periodo dall’8 maggio all’8 agosto 2016 dopo le manganellate di Banca d’Italia), quindi presidente dell’Associazione Azionisti Veneto Banca e mai, cosa forse più importante in questo caso, sospettato di qualcosa di meno che lecito.
Dopo aver attaccato più volte lancia in resta il backstage, che include i diversi comportamenti delle procure di Vicenza e di Roma & Treviso e che sarebbe retrostante all’assalto alla baionetta a Veneto Banca, da infilzare perché non prona alla volontà di via Nazionale di “fonderla” in BPVi, fa più che capire l’ex presidente di tribunale, nelle ultime due sue uscite pubbliche Schiavon ha prima “sentenziato” che “Veneto Banca cadde per gestione pessima di Bankitalia (e Bce) per salvare la BPVi. Hanno pagato solo i soci” e, poi, ha paragonato il dramma, per ora irrisolto, di Veneto Banca con quello epocale di Ustica nel cui sfondo si muovono servizi segreti di certo pratici anche delle stanze vicine a quelle della Popolare di Vicenza, con la targhetta Banca Nuova, ora confluita in Intesa Sanpaolo.
Lo fa evidenziando, scrivevamo, “le contraddizioni, le mancate risposte, le incertezze, le inesattezze e le difese d’ufficio” di Banca d’Italia, Ignazio Visco e Carmelo Barbagallo che “sconcertano, lasciano l’amaro in bocca e fanno aumentare i dubbi su quanto accaduto e richiedono che venga fatta finalmente piena luce sulla caduta di Veneto Banca” su cui apre uno squarcio, mai e da nessuno approfondito, neanche dall’autorità giudiziaria, l’audio, da noi svelato e ripreso a livello nazionale solo da Il Fatto Quotidiano, dell’incontro in via Nazionale a Roma, in cui il capo della vigilanza di via Nazionale dava indicazioni sulla possibile fusione tra le due ex Popolari venete all’allora presidente della BPVi, Gianni Zonin, e al suo omologo in Veneto Banca Flavio Trinca (vedi anche “Processo BPVi, Barbagallo testimone: anche su fusione BPVi – Veneto Banca mai ‘spinta’ da Bankitalia? Trinca: c’è audio, ‘è un disonesto’“ ed ascolta l’audio).
Nel suo precedente affondo Giovanni Schiavon scriveva: “Il governatore Ignazio Visco e il capo della Vigilanza di Banca d’Italia dott. Carmelo Barbagallo nel corso delle audizioni in commissione parlamentare sulle banche hanno smentito questo incontro. La vicenda è molto delicata, perché tocca una delle Istituzioni più importanti del Paese. Mi auguro che venga fatta la massima chiarezza da parte della Magistratura, ma anche che si possa contare su un più significativo impegno della politica e delle Istituzioni per dipanare i tanti lati oscuri della vicenda, della quale mancano all’appello tante verità…”.
Ora l’ex presidente del tribunale di Treviso, vice presidente di Veneto Banca, presidente dell’Associazione Azionisti Veneto Banca nonché mai inquisito Schiavon si rivolge al Presidente e ai Componenti della nuova Commissione Parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario oltre che, di nuovo, alla magistratura.
Siamo venuti in possesso della sua lettera e la pubblichiamo integralmente di seguito.
Al Presidente
Ai Componenti
Commissione Parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario
Ho, di recente, avuto modo di svolgere alcune riflessioni sulla sciagurata vicenda di Veneto Banca, ricordando che uno dei tanti problemi rimasti tuttora irrisolti è il contrasto sulle presunte pressioni di Banca d’Italia per costringere l’Istituto montebellunese a consegnarsi alla Popolare di Vicenza, in ossequio ad un forzoso programma di fusione ideato dall’Autorithy bancaria: pressioni fermamente negate dai vertici di quest’ultima (soprattutto in sede di loro audizione nella commissione parlamentare d’inchiesta) e, invece, vigorosamente e ripetutamente affermate sussistenti dai vertici dientrambe le banche venete.
Ma, fosse vero che esse ci sono state, si profilerebbe uno scenario di particolare gravità, non solo perché evidenzierebbe inaccettabili condotte mendaci da parte di soggetti che svolgono funzioni di garanzia per la tutela dei diritti dei cittadini, ma anche perché finirebbe, ancora una volta, a far capire alla gente che i responsabili del disastro bancario vanno ricercati non esclusivamente nel contesto strettamente gestionale dei due Istituti. Troppe cose sono state nascoste e troppe cose sono state spiegate in modo totalmente distorto.
Confidiamo, dunque, che la magistratura faccia chiarezza, con tutti i mezzi che ha a sua disposizione, su questo primo punto, che corrisponde ad un aspetto nodale dell’indagine: è proprio vero – come hanno sempre sostenuto Ignazio Visco e Carmelo Barbagallo, rispettivamente governatore ed ex responsabile del servizio di vigilanza di Bankitalia – che non sono state fatte pressioni per costringere le due banche venete a fondersi (con quella di Vicenza nel ruolo di incorporante)? E non è forse vero di altre operazioni simili che, sempre per intervento di Bankitalia, sono state eseguite (o tentate) in altre regioni italiane?
Accertato questo primo punto, sarebbe molto più agevole capire ciò che realmente è poi avvenuto e spiegare il grado di criticità della politica bancaria italiana ed europea.
A parte ciò, c’è da chiedersi la ragione per la quale la Procura della Repubblica di Treviso, a differenza di quella berica, che pur procedeva per gli stessi reati, abbia deciso (pare, perché sollecitata da quella di Roma) di trasmettere colà tutti gli atti, prefigurando una competenza della magistratura romana per l’indagine penale. E’ noto che una tale decisione è stata poi smentita dal giudice di Roma, che ha restituito tutti gli atti a Treviso, la cui magistratura sta ora procedendo (con ovvio, conseguente, significativo ritardo).
Sorge, però, un dubbio che lascia non poco perplessi: la Procura di Roma si è affrettata ad avviare un’immediata indagine penale ed ha messo subito sotto accusa solo i soggetti che Banca d’Italia aveva indicato nelle relazioni scaturite dalle sue ispezioni, nominando altresì un suo consulente, al quale ha affidato un quesito di ricerca di responsabilità nel periodo dal 2010 al 2015. La nomina del consulente è caduta – guarda caso – proprio su un ispettore di Bankitalia, inserito nell’organico dei vigilanti, alle dipendenze del dott. Carmelo Barbagallo, che della vigilanza di Bankitalia era il Capo e che, avrebbe insistentemente indicato la Popolare di Vicenza come banca aggregante nella programmata fusione.
Ma – ci si domanda – fra i tanti liberi professionisti, indipendenti e abituati ad operare in un contesto di terzietà, l’incarico di consulente del pubblico ministero doveva proprio essere attribuito ad un ispettore di Banca d’Italia?
Per di più, in un contesto in cui non mancavano (come tuttora non mancano) diffuse perplessità sull’operato di Banca d’Italia e di BCE proprio con riguardodelle scelte politiche concernenti la revisione del sistema bancario nazionale. Più volte – occorre ricordarlo – rappresentanti del Governo e della Banca d’Italia erano intervenuti per rassicurare tutti gli azionisti italiani che tutto andava bene e che il sistema bancario era solido … E, allora, è davvero pensabile che quel consulente del pubblico ministero, incaricato di ricercare aspetti di responsabilità penale sulla crisi di una banca (VB), fosse disponibile ad evidenziare anche eventuali corresponsabilità (neppure tanto campate in aria) del proprio datore di lavoro, cioè della Banca d’Italia (che infatti, si è poi costituita, a Vicenza, parte civile)?
E, dunque, anche a prescindere da un intrinseco giudizio sulla genuinità e sulla qualità tecnica degli accertamenti così formati, c’è da chiedersi quale contributo di verità possa essere stato dato al giudicante che dovrà esaminare la vicenda. In sostanza, scegliendo il proprio consulente di parte fra gli ispettori di Banca d’Italia, la Procura romana sembra aver aprioristicamente rinunciato a concepire l’esistenza di responsabilità estranee al contesto gestionale di Veneto Banca.
Infine, un terzo punto merita di essere chiarito con particolare attenzione, essendo tale da connotare la vicenda di particolare opacità, pur se apparentemente marginale.
Nel contesto dell’aumento di capitale imposto a Veneto Banca nel 2016, l’allora direttore generale Cristiano Carrus ha più volte dichiarato, in pubblici incontri, che l’istituto di credito era alla canna del gas ed era uno zombie, guardandosi però bene dall’adottare decisioni coerenti con le consequenziali previsioni di legge e lasciando che la stessa banca proseguisse la ricerca delle sottoscrizioni del capitale (si ricorderà che, subito dopo, il capitale è stato quasi totalmente sottoscritto da Atlante, a testimonianza di non poche anomalie di programma). La cosa, pur se segnalata all’autorità di controllo del mercato e agli organi inquirenti, è rimasta nell’oblio. E il Sig. Carrus sembra aver, poco dopo, ritirato il premio, essendo stato nominato responsabile finanziario della Banca Popolare di Bari, miracolosamente salvata dal disastroso destino riservato, invece, a Veneto Banca.
Montebelluna, 22 luglio 2020
Giovanni Schiavon
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