Ci stiamo avvicinando, cari lettori, alla pubblicazione di un documento esclusivo che sugli effetti di Banca d’Italia sui crac di BPVi e Veneto Banca, non dirà quanto alcuni, tra cui noi (non a caso abbiamo ripubblicato una sintesi di 4 nostri articoli datati 2017), hanno supposto ma porrà un timbro che costringerà tanti che finora avevano negato le supposizioni e le deduzioni a dare delle risposte alle centinaia di migliaia di famiglie che hanno visto azzerati i propri risparmi.
Grazie a quel timbro costoro potrebbero farsi forti col “sistema” per non accontentarsi del 30% di indennizzo, per ora solo promesso, e per pretendere tutto, se non di più, perché quel sistema non solo sapeva ma forse ha indirizzato, male, le scelte a danno di alcuni e a vantaggio di altri.
Visto che altri media non hanno dato ospitalità al “documento”, su cui lavoriamo da un paio di mesi per le opportune verifiche e per i corretti coinvolgimenti degli interessati, prima di scoprire gli ultimi veli a brevissimo, forse anche domani, aggiungiamo qualche, non irrilevante, particolare, “stimolati” anche da alcune dichiarazioni recenti di Gianni Zonin, che al solito scarica su altri, in questo caso i “non veneti” del cda di Montebelluna, qualunque suo eventuale coinvolgimento nel crac della BPVi, e da una richiesta del pm Massimo De Bortoli a Treviso per il dissequestro dei beni di Vincenzo Consoli a seguito della perizia del consulente tecnico d’ufficio, che avrebbe ritenuto irrilevanti le differenze di bilancio accertate e non in grado di alterare l’operato delle Autorità di vigilanza…
Ebbene, scrivevamo già nel 2017 e ricordavamo nella mini serie di cui sopra, “nel 2013 Veneto Banca viene ispezionata due volte. La prima ispezione non evidenzia problemi e non genera alcuna apertura di procedimenti sanzionatori. Con la seconda ispezione, invece, nello stesso anno, in continuità con la prima e eseguita dallo stesso team ispettivo Bankitalia cambia radicalmente opinione e, con la memoria ispettiva accompagnata da lettera dispositiva del Governatore Ignazio Visco, rileva “carenza di capitale e governance inadeguata” intimando a Montebelluna di fondersi con una banca di adeguato standing.
Lo stesso Carmelo Barbagallo, responsabile della Vigilanza, chiarì al CDA di Veneto Banca (ma lui ha sempre smentito, ndr) che la banca aggregante era, ancora una volta, la Popolare di Vicenza di Gianni Zonin. Si doveva ovviamente trattare di un’operazione di fusione tra due banche di dimensioni simili…“.
Il 27 dicembre 2013, questa è cosa nota e riportata nel verbale del cda del 14 gennaio 2014 di Veneto Banca, Gianni Zonin e Samuele Sorato, rispettivamente presidente e direttore generale della Banca Popolare di Vicenza, si incontrano con gli “omologhi” di Montebelluna, Flavio Trinca e Vincenzo Consoli, all’epoca anche ad, nella tenuta vinicola Ca’ Vescovo in Terzo d’Aquileia del viticoltore vicentino.
Ma l’uscita di scena totale dei vertici di Montebelluna e la sua resa incondizionata a Vicenza, chiesta da Zonin, lui dice su input di Visco (anche qui Banca d’Italia nega), ovviamente non passano tanto più che Trinca e Consoli sono più che convinti, numeri alla mano, che i fondamentali delle due banche sarebbero tali (come in effetti poi confermerà l’Aqr/stress test della BCE resa nota il 25 e 26 ottobre successivo) da invertine i ruoli.
Che non ci sia spazio alla “cessione” di fatto, come confermato nel cda del 14 gennaio in cui c’è anche chi, provocatoriamente, sostiene che se cessione s’ha da fare almeno la banca che compra paghi i soci che devono vendere, lo conferma una cena di inizio gennaio solo tra i due dg, questa volta a Vicenza presso il Ristorante da Biasio sui Colli Berici (ci siamo stati per parlare col suo titolare che, tra l’altro è rimasto con in mano azioni delle due banche…, si mangia bene e c’è una vista stupenda).
In questa cena, tra l’altro, sembrerebbe (i condizionali sono d’obbligo ma varie fonti concordano sulle nostre ipotesi) che Sorato, oltre a ribadire quelle che sarebbero state le volontà di Bankitalia, come “moral suasion” abbia detto a Consoli che “in caso di successo dell’operazione nessuna azione di responsabilità sarebbe stata attivata nei suoi confronti”. Facile immaginare la reazione dell’ad di Veneto Banca che in seguito avrebbe saputo, da un suo amico (di Mediobanca?) di un successivo messaggio in cui il dg della BPVi avrebbe tenuto a fargli sapere che non era lui ad aver ipotizzato un’azione di responsabilità nei suoi confronti…
Se ora, l’11 luglio, Gianni Zonin dichiara alla stampa “Era indispensabile la fusione con Veneto Banca. Mi sono spesso chiesto perché il matrimonio alla fine non si sia fatto. Ci ho pensato e riflettuto e sono arrivato a darmi una risposta: il presidente di BpVi era veneto e molti consiglieri della Popolare erano veneti; l’amministratore delegato di Veneto Banca invece non era un veneto. Io ero favorevolissimo alla fusione…“;
se dal verbale del 14 gennaio di Veneto Banca appare difficile imputare il no a Consoli da solo (i membri del cda erano 13, di cui 10… veneti compreso il presidente proprio di Montebelluna e con l’ad residente a Vicenza dal 1986);
se il pm De Bortoli sulla base del Ctu afferma che erano di fatto corretti i dati di Veneto Banca, quelli che l’avevano fatta promuovere da Bce, che aveva, invece, bocciato in prima istanza la banca di Zonin, che, per salvarsi in angolo, dovette convertire in azioni nella notte del 25 ottobre 2014 ben 254 milioni di euro di obbligazioni con un’operazione benedetta da Bankitalia ma discutibile per le modalità e i tempi di attuazione, che hanno danneggiato pesantemente i loro sottoscrittori che oggi verranno rimborsati al 30% dal Fir invece che al 95% (come proposto da Pierantonio Zanettin e alcune associazioni ma bocciato dal governo gialloverde);
beh se tutto questo è vero, allora la parte finale dell’intervista a Zonin dell’11 luglio in cui dice “Molto è dipeso dal fatto che non sono riuscito a far capire l’importanza di questa operazione; che non sono riuscito a convincere Veneto Banca che era indispensabile realizzare quella fusione“, andrebbe riscritta e rispiegata a Zonin a parti invertite: “Veneto Banca non riuscì a spiegare e a convincere BPVi e Bankitalia che la fusione si poteva e doveva fare ma a posizioni invertite…“.
La chiamata in causa di Banca d’Italia (Visco e Barbagallo) da parte di Zonin e Sorato è stata ad oggi sempre negata dagli interessati, ma il nostro documento potrebbe fare chiarezza su questo aspetto vitale per capire la morte di due banche causata da chi voleva salvarne una, la peggiore.