Un “liberismo esasperato” che svuota la Stato, lo sfruttamento delle terre indigene, diritti sociali e diritti umani che vengono meno, aumento delle disuguaglianze e della disoccupazione, la corruzione strisciante e la violenza crescente.
Il Brasile di oggi preoccupa i Vescovi del più grande Paese sudamericano che, in un messaggio rivolto al popolo brasiliano pubblicato durante la recente assemblea di Aparecida, hanno preso posizione sulle principali questioni di attualità sociale. “L’opzione per un liberismo esasperato e perverso, che svuota lo Stato quasi al punto di eliminarlo, ignorando così le politiche sociali d’importanza vitale per la maggior parte della popolazione, favorisce l’aumento della disuguaglianza e la concentrazione di reddito a livelli intollerabili, rendendo i ricchi sempre più ricchi a spese dei poveri, che diventano sempre più poveri”.
Così i Vescovi, che si sono scagliati contro la corruzione, definendola “una delle cause della povertà e dell’esclusione sociale”, e hanno richiamato l’attenzione sulla disoccupazione, “un’altra piaga sociale”. Infine, la violenza: “Alle nostre orecchie di pastori – hanno scritto i Vescovi – arriva il grido delle madri che seppelliscono i loro giovani figli assassinati, le famiglie che hanno perso i loro cari e tutte le vittime di un sistema che sfrutta e disumanizza le persone, nel dominio dell’indifferenza. I femminicidi, la situazione delle carceri e la criminalizzazione di coloro che difendono i diritti umani richiedono azioni vigorose a favore della vita e della dignità umana”.
La denuncia dei Vescovi
I Vescovi brasiliani sono preoccupati anche per la riforma previdenziale proposta dal governo. Già lo scorso marzo, in un comunicato della Conferenza episcopale brasiliana si leggeva che i cambiamenti proposti “sacrificano i più poveri, penalizzano le donne e i lavoratori rurali puniscono le persone con disabilità e creano scoraggiamento per la sicurezza sociale, specialmente tra i disoccupati e le generazioni più giovani”.
Sempre da Aparecida è arrivato anche un allarme per la situazione dell’Amazzonia e della gente che vi abita. «Probabilmente i popoli originari dell’Amazzonia non sono mai stati così minacciati nei loro territori come lo sono ora; l’Amazzonia è una terra disputata su più fronti», ha detto mons. Roque Paloschi, arcivescovo metropolita di Porto Velho, intervenendo durante la seduta plenaria dell’assemblea.
I missionari vicentini
Nello Stato di Roraima nel Nord del Brasile, dove operano i missionari fidei donum vicentini e le suore Orsoline di Vicenza, tutte queste problematiche si toccano con mano. Con, in più, la crisi dei profughi in fuga dal vicino Venezuela, in cerca di cibo e medicine. «Qui da noi la gente è povera, racconta don Enrico Lovato, missionario vicentino che si trova a Boa Vista assieme a don Attilio Santuliana -, per cui tutte le misure che il governo di Bolsonaro sta mettendo in campo hanno una ripercussione maggiore. Ci sono famiglie di dieci persone che vivono con una sola pensione. Se anche quella viene tagliata, sarà la fame. Qui ci accorgiamo subito dei tagli al sociale, all’istruzione e alla salute pubblica». Recentemente, racconta don Enrico, il Roraima hadichiarato lo stato di calamità «per poter richiedere maggiori risorse al governocentrale. Con l’arrivo dei profughi venezuelani le richieste di cure sonoaumentate ma non il personale medico. Mancano medicine e i tempi di attesa sonointerminabili». Un fatto che sta facendo crescere un’ondata anti immigrati nell’opinione pubblica, anche cattolica. «Si tratta però di una guerra tra poveri – afferma don Enrico -. La tensione si tocca con mano, perché i profughi sono costretti a dormire per strada, non hanno abitazioni. I Vescovi sono schierati dalla parte dei poveri, ma è difficile convincere anche i brasiliani».
Il Sinodo, speranza per i poveri
«Mi sembra di essere tornata indietro di trent’anni, quando sono arrivata in Brasile per la prima volta – racconta invece suor Renata Gonzato delle Orsoline di Vicenza -. In pochi mesi c’è stato un impoverimento grave di diritti sociali e diritti umani acquisiti. Il carcere femminile dove operiamo dieci anni fa era un modello, puntava sul reinserimento, il lavoro, lo studio… ora le donne rimangono ventiquattr’ore al giorno a far niente. Visitiamo il carcere ogni settimana, le carcerate sono almeno una sessantina, distribuite in quattro o cinque stanze sovraffollate». Anche nelle carceri brasiliane la tensione è altissima. Sempre di recente, gli scontri tra fazioni rivali in quattro carceri dello Stato di Amazonas, a sud di Roraima, hanno causato 55 morti. Anche in questo caso, la reazione dei Vescovi attraverso una nota della Pastorale carceraria nazionale è stata durissima. Quello avvenuto nelle carceri di Amazonas, si legge nella nota, è stato “un massacro frutto di una detenzione di massa, trascuratezza verso vite di scarto, avidità di compagnie private e genocidio di cui è responsabile lo Stato brasiliano”.
In questo quadro, «un segno di speranza sarà sicuramente il Sinodo panamazzonico di ottobre – afferma suor Renata -, perché proporrà alla Chiesa di assumere un volto amazzonico e indigeno. Per le popolazioni della foresta, infatti, la vita è unità tra Dio, la natura e il prossimo».
«I poveri hanno sempre speranza, lottano sempre, pensano sempre che si possa migliorare – conclude don Enrico Lovato -. Grazie al cielo, questa speranza in Brasile è forte».