La cestista Brittney Griner rischia fino a 10 anni di carcere per possesso di meno di 1 grammo di cannabis. In diversi lo definiscono un caso politico inventato per scambiare prigionieri.
Mentre la guerra fredda tra Usa e Russia, acuita dall’invasione russa dell’Ucraina, sta diventando sempre più calda, la vicenda Griner/cannabis ci mostra cosa è cambiato nel mondo, la grande ingiustizia del proibizionismo e il grande potere della legalizzazione.
L’aspetto ironico della vicenda
Mentre in Usa la cannabis potrebbe diventare legale (se mai lo sarà col voto del Senato), la Casa Bianca di Biden, al pari della Russia applica un proibizionismo che continua a portare in galera migliaia di persone. Non solo Usa. In Italia questo proibizionismo miete migliaia di vittime ogni anno. Anche la Germania, dove è in discussione una proposta legalizzatrice del governo, le vittime sono quasi 200 mila all’anno.
L’ombra lunga della guerra alla cannabis
Quando fra qualche anno probabilmente la cannabis sarà legalizzata in tanti Paesi, si guarderà a questi anni 20 come uno dei periodi in cui dominante era l’ingiustizia. Col superamento della stessa solo grazie alla legalizzazione, e al suo potere di distendere anche i rapporti internazionali, e di far esplodere nuove e prospere economie ovunque.
Intanto, in Russia come altrove, la guerra alla cannabis è in corso. Parte della più ampia “war on drugs” che stravolge tutto il mondo come passepartout della criminalità organizzata e della destabilizzazione istituzionale.
Il caso Griner è l’ennesimo episodio, l’ombra lunga di questa guerra.
l’associazione non percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille)
La sua forza economica sono iscrizioni e contributi donati da chi la ritiene utile
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Fonte: Brittney Griner, prigioniera politica per cannabis