Assistiamo alla spaventosa catastrofe che sta distruggendo enormi aree dell’Amazzonia brasiliana e sta raggiungendo Perù e Bolivia. Incendi per nulla naturali dovuti all’avidità dei proprietari agricoli. È una tragedia ambientale che è iniziata in un paese, il Brasile, nel quale è presidente Jair Bolsonaro un fedele suddito degli Stati Uniti. E la concomitanza di una devastazione ambientale con l’esistenza di un presidente oscurantista e apertamente filo fascista, legato ai proprietari agricoli, iperliberista e quant’altro, dovrebbe far riflettere almeno su una cosa.
Lo sfruttamento ambientale a fini di mero profitto, il considerare l’ambiente come una proprietà privata (cosa che, ricordo, è in antitesi con la tradizione e la storia culturale, sociale e religiosa delle popolazioni sudamericane) e non un bene collettivo, sono le cause principali dell’emergenza ambientale che stiamo vivendo. Non c’è nulla dovuto al caso o alle modifiche epocali. Ce ne dobbiamo rendere conto.
Esiste un conflitto, una guerra di interessi divergenti, tra profitto e ambiente. Non potremo avere mai un miglioramento delle condizioni di vita collettive di tutti gli esseri umani e del nostro pianeta se si continuerà ad avere come scopo principale dell’esistenza l’arricchimento di una miserabile e infima minoranza che sfrutta qualsiasi essere e qualsiasi cosa che possa produrre capitale. Tra capitale e lavoro, capitale e salute, capitale e ambiente esiste un’incompatibilità profonda e sostanziale. Dobbiamo esserne coscienti.
Quello che sta succedendo in Amazzonia in queste settimane è l’evidenza di questa incompatibilità.
Tutti siamo d’accordo che bisogna difendere la natura e l’ambiente ma questa è solo una “bella speranza” se non si decide da che parte stare. Dalla parte del profitto e del capitale o da quella del benessere collettivo, del lavoro, della salute di tutti gli esseri umani, dell’ambiente?