Il declassamento da parte di una delle agenzie di rating. Le rassicurazioni del Governo, che ricorda l’importanza dell’elevato risparmio privato. Il timore di una patrimoniale nonostante le smentite. E l’emissione di strumenti finanziari il cui scopo è convincere gli italiani a investire in titoli di Stato.
Potrebbe sembrare un riassunto della cronaca recente, in realtà è ciò che è successo ad ottobre del 2018. Insomma, anche ben prima dello scoppio della pandemia di Covid-19 il tema dell’eccessivo debito pubblico italiano veniva periodicamente posto sotto osservazione. E le conseguenze si ripresentano ciclicamente. All’epoca furono lanciati i Conti Individuali di Risparmio (CIR), oggi si tratta dei Btp Italia.
È interessante notare come ogni qualvolta si parli dell’eccessivo debito sovrano, esso viene definito «sostenibile nel quadro di un risparmio privato molto cospicuo». Infatti, la somma del risparmio di famiglie ed imprese ammonta a poco meno di 4200 miliardi di euro, circa il doppio del debito pubblico. Di questi si stima ci sia un ammontare di 1300 miliardi in depositi nei conti correnti, libretti o in altri strumenti di risparmio. Solo il 10% di queste risorse “parcheggiate”, 130 miliardi di euro, costituirebbe una somma superiore agli aiuti di cui si stima potremo usufruire se l’accordo franco-tedesco dovesse trovare attuazione.
Il lancio dei Btp Italia destinati al mercato retail (al dettaglio, per risparmiatori) risponde proprio alla necessità di attrarre capitali molto utili per finanziare parte delle spese necessarie a combattere la crisi. Il solo Decreto Rilancio, infatti, grava sull’indebitamento pubblico per 55 miliardi di euro.
Stando ai dati diramati, l’emissione di tali titoli di Stato ha avuto un enorme successo riuscendo a raccogliere ben 22,3 miliardi, segnando la miglior performance di sempre. Di questi, i piccoli risparmiatori, cosiddetti retail, hanno sottoscritto ben 14 miliardi.
Un’analisi di Business Insider spiega i possibili motivi di questo successo. Intervistando una risparmiatrice che ha investito 5 mila euro nel Btp Italia, viene evidenziato come, oltre al rendimento e alla tassazione agevolata, «nel mio piccolo, mi piaceva l’idea di fare qualcosa per sostenere il mio paese in un momento di emergenza così grande».
Altro fattore di sicuro interesse è che il rendimento reale annuo minimo garantito dell’1,40% è parametrato all’inflazione italiana, quindi praticamente incorpora un’assicurazione gratuita contro l’inflazione. È proprio la risparmiatrice a suggerire come, a suo avviso, «nonostante le previsioni economiche di molti il prezzo più alto della tazzina di caffè al bar non è che il primo di una lunga serie».
Il sostegno da parte dei privati all’azione del Governo si sta rivelando molto utile, anche se finora compensa solo una parte delle ingenti risorse che si stanno rivelando necessarie per far fronte all’emergenza oltre che all’indebitamento storico. La speranza è questi strumenti come il Btp Italia trovino maggiore accoglienza possibile da parte dei cittadini, in quanto potrebbero rivelarsi un’alternativa all’indebitamento.
All’inizio facevamo riferimento alla ciclicità delle difficoltà illustrate. Il problema è che la situazione attuale di emergenza presenta delle peculiarità che mai prima d’ora si erano manifestate in quest’ordine di grandezza. Per questo motivo il dibattito si sta evolvendo.
Per fronteggiare la crisi del 2011, in Europa vennero attuate politiche di austerity come il taglio della spesa pubblica e l’aumento della tassazione. Il Fondo Monetario Internazionale, all’epoca tra i maggiori sostenitori di queste politiche, ha in seguito ammesso che l’effetto non fu esattamente quello pronosticato. Nonostante quelle misure, infatti, gli spread continuarono a salire e fu solo in seguito al famoso discorso a luglio 2012 di Mario Draghi (“whatever it takes“) e all’introduzione del Quantitative Easing che le preoccupazioni degli investitori vennero placate.
Tale situazione ha portato a riflettere sull’importanza delle banche centrali e del loro intervento. A conferma di questo, per far fronte alla recente crisi la BCE ha varato quasi immediatamente un piano straordinario di ben 750 miliardi di euro, in modo da riportare gli spread sotto controllo. Le misure adottate, che non indicano la strada dei tagli, fanno pensare ad un cambio di mentalità da parte degli organismi internazionali.
Quindi, se le politiche di austerity sembrano non essere la soluzione migliore, quantomeno al momento, come si pensa di tenere a freno l’indebitamento pubblico?
Fanno riflettere a questo proposito le dichiarazioni ancora di Mario Draghi al Financial Times rilasciate due mesi fa: «un livello di debito pubblico molto più alto dell’attuale diventerà una caratteristica permanente delle nostre economie, e sarà accompagnato dalla cancellazione del debito privato».
Lo storico dell’economia Adam Tooze, uno dei più apprezzati studiosi della situazione finanziaria internazionale, sostiene che il quesito che i Governi dovrebbero porsi in questa fase storica non è come ripagare il debito, ma se ripagarlo sia una priorità politica. Egli sostiene che il ruolo sempre più importante delle banche centrali ha mutato la necessità di preoccuparsi del debito come accadeva in precedenza.
D’altra parte, numerosi studi dimostrano che l’austerità può portare al risanamento dell’economia. Si riporta l’esempio del libro “Austerità, quando funziona e quando no” scritto da Carlo Favero, Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, quest’ultimo, insegnante presso Harvard University, purtroppo deceduto proprio in questi giorni.
In sintesi, la teoria esposta in questo libro è che «l’austerità può essere paragonata ad una medicina necessaria ma con effetti collaterali, che vanno minimizzati. Per l’economia, la malattia è l’alto debito pubblico. Si tratta di un male che viene ereditato dalle generazioni future, su cui manifesta i propri effetti più dannosi».