(Articolo di Raffaele Consiglio, Segretario Generale provinciale Cisl Vicenza sul calo demografico da VicenzaPiù Viva n. 1 settembre ottobre , sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Da oltre un anno come Cisl Vicenza abbiamo scelto di approfondire il tema dell’inverno demografico e delle sue ripercussioni sul mercato del lavoro. I numeri, elaborati dal Centro Studi Cisl Vicenza, ci dicono che la nostra società sta correndo verso un punto di non ritorno in termini di sostenibilità economica e sociale. Limitando la nostra analisi alla provincia di Vicenza, da qui al 2032 è possibile ipotizzare l’ingresso nel mercato del lavoro di 92.064 giovani e la contemporanea uscita per anzianità di 128.735 lavoratori; dunque, tra meno di 10 anni mancheranno all’appello oltre 36.000 cittadini in età da lavoro, dato destinato a salire ulteriormente fino ad un vuoto incolmabile di oltre 75 mila cittadini in età da lavoro nel 2037 rispetto ad oggi. Mantenendo per semplicità di calcolo l’attuale tasso di
occupazione (66,6%), significa che entro 15 anni mancheranno all’appello almeno 50 mila lavoratori in provincia di Vicenza.
Posti vuoti nelle fabbriche, negli uffici negli ospedali, dietro i banconi dei bar e nelle cucine dei ristoranti. Un esercito di figure essenziali per garantire la tenuta del nostro sistema economico e sociale che un poco alla volta, una dopo l’altra, scompaiono senza essere sostituite. Potrebbe essere la trama di una fiction di fantascienza, invece è il futuro che attende la provincia di Vicenza – e non solo il nostro territorio – se non saranno adottati degli immediati e forti correttivi.
Proprio sulla natura di questi interventi, e sulla loro urgenza, come Cisl Vicenza stiamo conducendo da oltre un anno una campagna su più fronti. Un primo tema è l’orizzonte temporale entro il quale occorre trovare risposte, perché è evidente che anche la più efficace delle politiche demografiche non avrebbe effetti sul mercato del lavoro prima di 20 30 anni, a seconda delle professionalità e dunque dei percorsi di formazione necessari. Troppo tardi. Da qui l’urgenza di aprire i flussi migratori. Sembra finalmente tramontato il luogo comune secondo cui “gli stranieri ci portano via il lavoro”. Tanto è vero che in una recente rilevazione del Centro Studi Cisl Vicenza, a domanda precisa (“È d’accordo nell’aumentare gli ingressi di stranieri per motivi di lavoro?”) il 60,3% dei lavoratori vicentini si è dichiarato favorevole. Dunque, il nostro tessuto sociale inizia a essere consapevole del problema e si dimostra pronto per una reale integrazione e ci sono tutte le condizioni non solo economiche, ma anche sociali e culturali per affrontare finalmente il tema della revisione delle politiche di immigrazione per chi vuole entrare nel nostro Paese per lavorare.
Parallelamente, però, occorre agire fin da subito per invertire l’andamento della curva demografica. Si è già perso troppo tempo: nel Vicentino si è passati dagli 8.592 nati nel 2002 ai 5.926 del 2022 (-31% in soli vent’anni). Eppure il 79,53% dei rispondenti
al di sotto dei 35 anni si immagina con figli quando avrà 50 anni: per la precisione immagina di averne l’84,4% delle donne e il 70,97% degli uomini. Questo dato evidenzia dunque come la genitorialità oggi non sia più una scelta scontata, ma allo stesso tempo conferma una generale elevata predisposizione all’idea di avere dei figli. Se dunque la volontà continua a esserci, quali ostacoli frenano lo sviluppo demografico? Sicuramente la
carenza di strumenti e agevolazioni a supporto: l’indagine che abbiamo condotto come sindacato su questo tema ha evidenziato giudizi prevalentemente negativi per tutte le forme principali di aiuto alla genitorialità, dall’assegno unico all’offerta di asili nido e doposcuola.
A frenare la natalità, inoltre, sembrano essere anche le preoccupazioni economiche: per il 73,4% degli under 35 è questa la principale motivazione della riduzione della natalità, seguita dalla difficoltà di conciliare impegni di lavoro e famiglia (62,4%), la carenza di aiuti
(50,2%), addirittura il timore di conseguenze professionali negative (45,6%), la preoccupazione per la cura dei figli (33,5%); mentre solo il 24,8% ritiene che ci sia un minore interesse rispetto al passato ad avere dei figli.
C’è dunque molto da lavorare sul tema, e tutti sono chiamati a fare la loro parte. Perché se è vero che ci sono sicuramente misure di competenza nazionale, anche gli enti locali possono fare molto, soprattutto per quanto riguarda la disponibilità e i costi dei servizi nel territorio. È dunque necessario che il tema sia inserito tra le priorità di tutte le Amministrazioni Locali. Allo stesso tempo, anche le aziende devono attrezzarsi sul piano culturale e organizzativo per offrire ai propri dipendenti strumenti di welfare o altre forme di agevolazione, dalla flessibilità oraria ai nidi aziendali.
Ancora una volta il dialogo tra le parti sociali e la contrattazione si confermano strumenti fondamentali. Utilizziamoli al meglio per garantirci un futuro.