Il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo a firma congiunta della Vicepresidente della Deutsche Bundesbank Claudia M. Buch e del Direttore Generale di Banca d’Italia Luigi Federico Signorini su “Cambiamento climatico e banche centrali“. L’articolo (fonte Banca d’Italia) è stato pubblicato anche in tedesco su Frankfurter Allgemeinen Zeitung.
Cambiamento climatico e banche centrali
Proteggere il clima è la sfida del secolo. Banche centrali e autorità di vigilanza hanno un ruolo importante, sia per migliorare l’informazione sui rischi legati al cambiamento climatico e mitigarne l’impatto sulla stabilità finanziaria, sia per agevolare l’investimento privato per il finanziamento della trasformazione. Le scelte fondamentali in merito alle politiche climatiche, però, spettanoa governi democraticamente eletti. Le politiche climatiche interessano tutti gli aspetti del comportamento economico e sociale; influenzano i modelli di consumo e lo stile di vita di ciascuno; cambiano le decisioni delle imprese circa investimenti e produzione; tutto questo con un lunghissimo orizzonte temporale. La dimensione globale dei rischi climatici e dei mercati finanziari, per di più, rende necessario un coordinamento mondiale.
Le banche centrali devono fare la propria parte. Il primo contributo che esse possono darenon può che essere perseguire efficacemente le proprie finalità, in particolare stabilità dei prezzi e stabilità finanziaria.Una politica chiave per il clima come il carbon pricing, ad esempio, ha un’efficacia ridotta se i prezzi non sono stabili. Più il tasso di inflazione è elevato e volatile, maggiore è il “rumore” che rende difficile agli operatori di mercato ricavare segnali di prezzo chiari. La stabilità finanziaria è forse ancor più importante. La transizione verso zero emissioni richiede investimenti enormi. Gli investitori sono sempre più disposti ad allocare fondi per finalità “verdi”. Non è compito delle banche centrali mobilitare risorse per finanziare specificiinvestimenti; lo è invece garantire che i mercati finanziari privati funzionino ordinatamente, e mitigare i rischi di instabilità.Il cambiamento climatico e le relative politiche danno luogo a rischi fisici e rischi di transizione. Sappiamo ancora poco della loro entità e dei loro effetti. Manon abbiamo bisogno di categorie di rischio del tutto nuove; i rischi climatici di regola si manifestano in forme note (rischio di credito, di mercato, legale). Ci sono gli strumenti per affrontare i rischi climatici nel quadro della regolamentazione prudenziale. Crediamo però che la regolamentazione non si debba usare per fornire incentivi diretti per orientare la transizione climatica, bensì per valutare i rischi relativi a fini prudenziali. È essenziale anche migliorare dati e modelli per l’analisi del rischio climatico.I modelli di rischio di regola guardano all’indietro, usando dati storici; occorre renderli adatti a cogliere l’impatto futuro delle politiche climatiche in tutti i settori e nel lungo periodo. Il cambiamento climatico comporta rischi il cui “prezzo” non è facile stabilire usando modelli standard; le nostre conoscenze sulla dinamica del clima e sulla sua interazione con l’economia sono ancora limitate. Per le banche centrali è importante dotarsi di modelli più efficaci, condurre prove di stress per il rischio climatico, affinare l’analisi di scenario. In secondo luogo, è fondamentale disporre di buoni dati. Nessun modello, per quanto valido, è in grado di fornire buoni risultati se i dati su cui si fonda sono carenti. La situazione attuale è tutt’altro che soddisfacente.
In terzo luogo, oggi un’impresa che voglia rendere pubblica la propria impronta ecologica si trova di fronte una moltitudine di standard contabili differenti e non confrontabili. Poiché la sensibilità verso le questioni climatiche sta rapidamente crescendo, risparmiatori e fondi sono sempre più desiderosi di investire in attività “verdi”. Considerando le enormi somme in gioco, è essenziale disporre di tassonomie ben fondate e chiari standard di trasparenza informativa, per non correre il rischio di favorire un “greenwashing” o bolle speculative causate da modepasseggere o comunicazioni fuorvianti. Su tutti questi fronti le banche centrali stanno cercando di fungere da catalizzatori. Sotto la presidenza italiana, il Finance Track del G20 a sua volta ha istituito un gruppo di lavoro sulla finanza sostenibile, al quale le principali banche centrali partecipano. Infine, le banche centrali devono praticare ciò che predicano. Molte di esse, tra cui le due istituzioni a cui apparteniamo, si adoperano per ridurre l’impronta ecologica delle proprie attività e tengono conto di criteri ambientali nella gestione dei propri fondi. Possiamo dunque fare molto nell’ambito dei nostri compiti. Nulla di ciò che possiamo fare, tuttavia, riduce la necessità di un intervento pubblico. Le questioni chiaveper la politica pubblica riguardano tasse, sovvenzioni e regolamentazione. Occorre che le decisioni in materia siano coerenti con l’obiettivo di emissioni nette zero. Il carbon pricingquantifica l’effetto delle decisioni individuali sull’ambiente e rappresenta un formidabile strumento per modificare i comportamenti; le regole incidono direttamente su di essi. Stabilire norme, attribuire un prezzo alle emissioni e definire meccanismi di attuazione comportano scelte complesse e la ricerca di difficili equilibri. Queste scelte spettano a governi che rispondono democraticamente del proprio operato. Politiche chiare ed efficaci sono è anche una precondizione per mobilitare efficacemente ilcapitale privato. Un percorso credibile per il prezzo delle emissioni e per le regole ambientali aiuta i mercati a definire prezzi tali da incorporare adeguatamente gli aspetti climatici. Nel contrasto al cambiamento climatico l’azione pubblica e quella privata sono complementari.
Claudia M. Buch (Vice Presidente della Deutsche Bundesbank)
L. Federico Signorini (Direttore Generale della Banca d’Italia)
Corriere della Sera – 16 giugno 2021
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