Caro Luciano Parolin (studioso della questione, ndr), quando ho scritto la mia in merito all’ormai antica (ma interessante) querelle (su campo Marzio o campo Marzo, ndr), rispondendo al doppio intervento da te citato dei Lain e di Ceraso, ho espresso un’opinione che posso sintetizzare in due punti: 1. l’una o l’altra sono solo tesi di difficile dimostrazione, non dogmi; 2. prima della “parola”, in linguistica, viene la “cosa” e da lì, comunque, bisogna partire (qui l’articolo da cui è tratta la foto/cartolina in copertina, ndr)
La mia opinione concreta è che Marzio (erede di Martio) sia più rispondente di Marzo all’uso e alla storia, ma la questione non è chiusa. Poco mi convince, però, l’opinione più volgarizzata (anche di qualche altro egregio collaboratore di Quaderni) che Marzo deriverebbe da marso (dialetto vicentino per dire marcio) se non addirittura da smarso (altra variante dialettale per dire marcio).
La sequenza linguistica marso-marcio-marzo non è provata né da documenti scritti né dalla dialettologia. La sequenza opposta, riformulata indirettamente da Giorgio Ceraso quando ipotizza che la dicitura “campo Martio” del Barbarano gli fa “sorgere il dubbio che si sia passati dal «Martio» dei documenti del 1224 e del 1227 al «Marcius» del Regestum del 1262, quindi all’italianizzato «Marzo» e infine al dialettale Marso come il campo viene oggi talora chiamato” è una sequenza, contraria alla precedente, ancora più improponibile: tutto nascerebbe da Martio (cioè “marziale”, “di Marte”) attestato da uno storico del 1224 (questo è documentale), che si trasformerebbe in Marcius nel 1262, per italianizzarsi (ma quando? quando Dante ancora non era nato?) in Marzo e da qui in Marso (dialetto). I tempi e le derivate linguistiche non concordano.
Il dialetto è una lingua mobile, diversificata, stratificata e con una sequenza storica nei secoli di impossibile individuazione (perché non ha documenti progressivi certi). La sequenza non regge. Potrebbe reggere, per restare in campo linguistico, che un termine attestato come Marzo (documentalmente) si fosse trasformato, dialettalmente, in Marso. Ma non c’è nessun documento né alcuna testimonianza orale rintracciabile che possa sostenere la genesi incontestabile di Marzo come nome del campo.
Se si vuole sostenere la tesi di Marzo, la genesi non c’è: il termine è un eventuale derivato. Solo (eventualmente) dal dialetto. Mi convince, invece, la circostanza che per fare un po’ di luce alla questione, al di là della linguistica, sia opportuno, come tu hai fatto,
andare a scovare tutta la documentazione ufficiale rintracciabile, non limitandosi a quella presente in Biblioteca Bertoliana ma compulsando quella enorme, vastissima, presente nell’Archivio Comunale di Palazzo Trissino.
Se i documenti hanno un senso è quello di rappresentare l’uso delle parole per gli eventi o i luoghi di cui trattano. Che poi l’uso fosse più o meno collegato alla complicata e contestata genesi è un altro discorso.
Ma non possiamo, nel decidere la paternità o meno di una parola, scordarci dell’uso che organi ufficiali, cittadini, enti, pubblicazioni, in un certo periodo storico (più o meno l’800 e il 900) hanno ritenuto opportuno fare senza porsi nessun problema tecnico o di merito.
Da questo lato della questione, oggi, epoca in cui la statistica ha un peso perfino eccessivo, la stessa e la storia ci dicono che Marzio sta, documentalmente, a Marzo come 10 sta a 1.
Vogliamo opinare anche su questo? Chi vuole, può farlo. Io non lo faccio. I documenti non sono carta straccia. Sono paletti della storia.
E poi un’altra considerazione, per la quale devo darti atto che, forse per la tua esperienza in commissioni comunali, sei stato illuminante.
La questione non è banale. Non nasce dalle solite contrapposizioni partitiche. Nasce dal fatto che il nostro adorato (ma depresso) Campo non è un toponimo. Non esiste alcun numero civico rintracciabile in Campo Marzio, a Vicenza. Campo dei Fiori a Roma è un toponimo. Corso Palladio è un toponimo. Piazza Ferretto è un toponimo. Campo Marzio è, come tu lo definisci, una Possessione Comunale. Non e neanche una località, perché è troppo centrale alla città. Sono toponimi viale Dalmazia, via Roma, e le altre vie che lo attraversano. Ma Campo Marzio è una possessione territoriale del comune di Vicenza. Un riferimento culturale e storico. Per questo la diatriba non è vana, e non è banale.
Se fosse un toponimo, attestato da giunta o consiglio comunali di qualsiasi epoca (di qualsiasi nome o regime) non ci sarebbero più dubbi. Il documento varrebbe come in catasto. Non è così e le discussioni non finiranno certamente qui.
di Pino Dato, da Quaderni Vicentini n. 2 in edicola