In occasione dell’assemblea che ieri, 15 giugno, ha decretato la fusione tra Confindustria Padova e Confindustria Treviso, che così staccano di gran lunga l’ora sorella minore di Vicenza per diventare, insieme, la seconda rappresentanza industriale italiana dopo Assolombarda, Carlo Messina, Ad di Intesa Sanpaolo reduce dall’acquisizone per un euro della parte “buona” di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, è tornato sul blocco del fondo di 100 milioni in 5 anni destinato a chi avesse particolari necessità e che ora è congelato perchè alcuni soci hanno chiamato Intesa a rispondere di eventuali indennizzi in quanto subentrante ai due istituti che hanno danneggiato gli azionisti risparmiatori.
Messina ha, quindi, dichiarato: «Io stesso sono stato promotore di quel fondo perché nell’ambito del crac delle due banche sono accadute cose che ritengo di una gravità e una ingiustizia tremenda nei confronti di persone con redditi anche molto bassi. Noi abbiamo già pronti 100 milioni di euro pronti da spendere per sostenere le situazioni di disagio, ma chiaramente fino a quando non viene chiarita la situazione attendiamo. Avevamo previsto di spenderli in 5 anni, l’unica cosa che potremo fare sarà eventualmente spenderli in un anno».
Ricordato che il fondo era fatto non di denaro cash, come parrebbe che Messina volesse far intendere, ma di titoli con vincoli particolari e che prevedeva elargizioni per controvalori non superiori a 15.000 euro pro capite, ci stupisce che dal giorno del blocco nessuna voce si sia levata nei confronti di chi, dopo aver “incassato” le parti buone di due banche e alcuni miliardi, quelli sì cash, dallo Stato per accettare il “regalo”, con una mano fa finta di dare a “persone con redditi molto bassi” colpiti da vicende di “una gravità e una ingiustizia tremenda” ma con l’altra blocca un esborso, ripetiamo di carta e non di cash, che priverebbe l’Istituto di 100 milioni sui 3.5 miliardi incassati dalla Stato (garanzie ulteriormenet miliardarie a parte).
Ci stupisce il silenzio, soprattutto locale, nei confronti di un Messina che “non dà” ma non ci dovrebbe stupire perchè è figlio di quello che ha accompagnato e riverito il sistema incarnato da Gianni Zonin che, addirittura, “ha preso” anche l’anima ai soci risparmiatori che ora sono costretti ad elemosinare da chi ha fatto bingo con la banca che pensavano fosse la loro musìna ma che prima è stata il bancomat degli interessi locali e ora lo è di quelli nazionali.
D’altronde non ci possiamo stupire del silenzio locale attuale perchè, se quello precedente era incoraggiato dai trionfalismi del re del vino, ieri Messina ha anche spiegato i grandi “sacrifici” della sua banca per salvare le due popolari venete: «Ci siamo presi cura di 50 miliardi di euro di risparmi degli italiani, 10 mila persone, di 200 mila aziende e integrato il più rapidamente possibile all’interno della banca questi rami di azienda. Io credo che abbiamo fatto tutto il possibile».
Per fare i propri affari di sicuro.