Uno dei temi che, dopo la formazione del nuovo governo, sembra più interessare l’opinione pubblica è questo: riuscirà Carlo Nordio, magistrato di lungo corso, a migliorare il sistema giustizia ed a riportarne la qualità ai livelli auspicati dall’Europa? Conoscendolo bene, dal punto di vista personale e professionale, per avere, entrambi, lavorato per lunghi anni a Venezia (io in qualità di giudice e lui, quasi sempre, come pubblico ministero), credo di poter esprimere una convinta opinione fuori dal coro.
Carlo Nordio, che si è sempre definito un liberale, è uomo di profonda cultura classica e umanistica, ottimo giornalista, opinionista, conversatore, congressista e simpatico interlocutore; è dotato di fine ironia ed è un arguto osservatore. Quel sano e positivo narcisismo, che quasi sempre connota l’uomo di successo e lo porta istintivamente a misurarsi con problemi sempre più ardui e complessi, lo ha indotto a cedere alle tentazioni della politica e ad entrare in un ambiente, per lui, nuovo e, per tutti, particolarmente complesso e spesso offuscato da fitte nebbie.
Anzitutto credo che un uomo intelligente come Nordio si renda ben conto che una riforma (la quale, in quanto tale, non può essere limitata a singoli, pur se importanti, segmenti, ma deve essere complessiva e organica) richiede un coordinamento con altri ministeri e con vari attori al fine di evitare disarmonie e zoppie, magari involontarie, che spesso creano più problemi di quanti intendono risolverne.
Tanto per fare un esempio banale, ma comprensibile a tutti, non si creda che la riforma della giustizia si riferisca solo a quella penale (comprensiva del diritto sostanziale e di quello processuale), ma necessariamente riguarda anche (e contemporaneamente) quella civile, della quale Carlo Nordio non ha alcuna esperienza professionale (ne scrivemmo qui), non essendosene mai, ma proprio mai, occupato. Anzi, tutte le volte in cui ha esternato le sue osservazioni sul sistema giustizia, non ha mai fatto alcun riferimento al settore civile, che, sostanzialmente, ha sempre ignorato.
E questo sarà il primo punto da chiarire, proprio perché i danni all’economia del Paese che provengono dal malfunzionamento della giustizia derivano, soprattutto, da quella civile, che non riesce a dare un’adeguata risposta alle esigenze delle imprese. E, per far meglio funzionare quest’ultima, occorre necessariamente partire già da un radicale cambiamento dell’ordinamento giudiziario, che impone a tutti i magistrati (con alcune, incomprensibili, eccezioni) continui cambiamenti di funzioni (la cosiddetta Mastella).
Occorre, poi, puntare non tanto all’aumento del numero dei magistrati, col rischio di annacquarne la qualità e la professionalità, ma alla loro (fortissima e quasi esasperata) specializzazione: in conformità, del resto, a quanto già stanno facendo gli avvocati ed alle esperienze della maggior parte dei Paesi europei.
Ma, anche con riferimento al solo settore penale, mi ha molto sorpreso e deluso il fatto che Carlo Nordio abbia difeso i quesiti referendari promossi, con maldestre e fuorvianti argomentazioni, da un certo settore politico, con dichiarato orientamento a destra. A prescindere dagli sgangherati e diffusamente incomprensibili quesiti, mi chiedo quale affidamento possa dare una riforma scaturita non da meditati e coordinati studi giuridici, ma da pressanti indicazioni referendarie, inevitabili espressione di sensazionalismi del momento.
E la tanto auspicata depenalizzazione, pensata per ridurre il numero dei reati e, in tal modo, snellire il carico complessivo dei procedimenti penali, è una soluzione solo apparente perché finirà inevitabilmente per aumentare le controversie civili e amministrative. Essa, quindi, potrebbe comportare uno sbilanciamento, per il fatto che la riduzione del carico penale creerebbe un corrispondente aumento di quello civile. Può lo Stato permettersi di indebolire il principale strumento di protezione (già ora molto fragile) delle imprese, creando il serio rischio di indebolire ancor più l’economia del Paese? Senza contare che una depenalizzazione massiccia rischia di legittimare comportamenti ritenuti negativi dall’opinione pubblica e che finiscono sempre per imbarbarire la società.
Nordio, poi, non ha avuto dubbi nell’indicare, quale suo primario obbiettivo, la riduzione dei tempi della prescrizione dei reati, come espressione di civiltà di un sistema penale, che non può, oltre i tempi tecnici strettamente necessari, tenere in sospeso il destino dei cittadini. Il rilievo sarebbe sicuramente giusto se non fosse che, nella realtà, proprio la prescrizione abbreviata finisce per allungare i tempi di moltissimi processi incentivando l’artificiosa e strumentale moltiplicazione delle impugnazioni, anche di quelle manifestamente infondate, pur di raggiungere l’obbiettivo dell’improcedibilità. E così si finisce per aggravare inutilmente il lavoro dei magistrati e per creare il presupposto per vanificare una massa enorme di processi importanti e riguardanti anche questioni gravi.
Anche su molti altri punti le affrettate dichiarazioni di Nordio appaiono molto discutibili: per esempio, sulla cosiddetta Legge Severino, scritta per impedire a soggetti che abbiano avuto problemi con la giustizia, arrivati in giudicato, possano accedere a delicate cariche pubbliche; abrogarla sarebbe un favore al malaffare, oltre che una scelta totalmente impopolare e irragionevole.
Le intercettazioni telefoniche sono uno strumento irrinunciabile per le indagini: è l’uso scorretto che se ne fa che deve essere rettificato e regolamentato. Perché allora avversarle o renderle quasi impraticabili?
E perché mai indicare fra le sue priorità operative il ripristino dell’autorizzazione a procedere per i parlamentari, recentemente abrogata a furor di popolo? Quale è il nesso tra un tale tema e la riforma della giustizia?
Per rendersi, poi, conto del contesto in cui dovrà operare il neo ministro della giustizia, mi pare interessante riferire un significativo episodio. Nel recentissimo periodo della formazione del governo la cronaca ha fatto emergere una bizzarra proposta di Berlusconi a Nordio: quella di fare, in questa funzione, una specie di staffetta con la senatrice Casellati, nel senso che, prima, avrebbe dovuto essere nominata lei e, in seguito, sarebbe subentrato, a capo di quel dicastero, il neo parlamentare trevigiano. Una tale soluzione mi pare, non solo, sospetta, ma, soprattutto, talmente contraria ai principi costituzionali che mi sono meravigliato che Nordio, proprio come giurista, non sia sobbalzato dalla sedia. Ma le cronache non riportano sue particolari reazioni, essendosi limitato a riferire una sua dichiarazione di obbedienza al volere del capo del governo, qualunque fosse stato. Come si vede, l’inizio non è certo dei migliori.
Una sola considerazione mi sento di condividere senza riserva alcuna: occorre ridurre drasticamente il numero dei magistrati fuori ruolo, che devono tornare subito ad aiutare gli altri a scrivere sentenze o a fare indagini. E si faccia anche – purché con la necessaria oculatezza – la separazione delle carriere, che, avendo eliminato le mie antiche perplessità, ritengo ora inevitabile.