L’Italia sarebbe un Paese con un’elevata presenza di case non occupate secondo il Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni 2021 dell’Istat. I dati diffusi dall’istituto sono stati letti in una chiave tale da lasciar pensare a un paradosso tutto nostrano. Se “una casa su tre è disabitata” come riferito dall’Istate, come si spiegherebbe allora l’emergenza abitativa nello Stivale?
In parte ci pensa Confedilizia, attraverso un intervento del presidente Giorgio Spaziani Testa, rilanciato dalla sede di Vicenza.
“Nei giorni scorsi – sostiene il presidente nazionale -, l’Istat ha diffuso una nota che aveva il seguente titolo: Quasi un’abitazione su tre non è occupata. Il dato ha destato, comprensibilmente, un certo scalpore. Tanto che sui media si sono letti riferimenti a case vuote, a case disabitate, addirittura a case fantasma.
La lettura integrale del documento avrebbe consentito di evitare questa reazione. In esso, infatti, si può leggere che per l’Istituto nazionale di statistica le abitazioni occupate sono quelle occupate almeno da una persona residente e le abitazioni o case non occupate sono quelle non occupate oppure occupate solo da persone non residenti.
È chiaro come ciò cambi radicalmente le cose. Nella definizione di case non occupate concepita dall’Istat, che le calcola in circa nove milioni e mezzo (9.581.772) devono infatti ritenersi ricomprese, ad esempio: le case di villeggiatura, che i proprietari utilizzano per periodi limitati; le case date in affitto a persone che tipicamente non vi trasferiscono la residenza, come studenti, lavoratori temporanei e turisti; le case in fase (o in attesa) di vendita o di locazione; quelle inagibili. Il numero di tutti questi immobili non è noto, ma è certamente pari a qualche milione.
Insomma, la situazione è ben diversa da come è apparsa sulla base del titolo riportato all’inizio. Ed è bene chiarirlo non (solo) per esigenze di precisione, ma anche per valutare le migliori politiche da attuare partendo da dati corretti.
La prima cosa da fare è sgombrare il campo dall’idea che esistano milioni di case che i proprietari lasciano vuote volontariamente per chissà quali oscuri motivi (molto oscuri, visto che un immobile vuoto costa parecchio in termini di tasse e di spese). Idea, infondata, che alcuni utilizzano per sostenere misure (spesso liberticide) finalizzate alla messa a disposizione di queste (ipotetiche) abitazioni a favore di soggetti in cerca di alloggio. Si tratta, nella realtà, di situazioni limitate sia dal punto di vista numerico che temporale.
Ciò detto, però, occorre comunque interrogarsi sul destino di quegli immobili, il cui numero non è disponibile, che sono effettivamente non utilizzati. Si tratta di beni collocati per lo più al di fuori delle città grandi e medie, sovente frutto di eredità, e privi, almeno attualmente, delle tre caratteristiche che consentirebbero di ritenerli utili: possibilità di essere abitati dal proprietario, di essere locati, di essere venduti.
Immobili ai quali devono aggiungersi le cosiddette unità collabenti, ovvero gli edifici ridotti in ruderi a causa del loro elevato livello di degrado, calcolati in 620.000 dall’Agenzia delle entrate, con un aumento del 123% rispetto all’ultimo anno senza Imu, il 2011.
Occorre agire per favorire l’utilizzo (per turismo, per smart working ecc.) di questi immobili, in molti casi collocati in luoghi pregevoli. Nel frattempo, andrebbero liberati dai gravami fiscali che li opprimono, esentandoli in particolare dalla patrimoniale Imu”.