A giugno ci dovrebbe essere il rinnovo del consiglio d’amministrazione della Rai, la società monopolista di proprietà dello Stato (Ministero Economia e Finanze al 99,56% e Siae allo 0,44%) che svolge il servizio pubblico di informazione radiotelevisiva. Ci sono molti candidati e tutti sono per così dire ‘sponsorizzati’ dai partiti presenti in Parlamento.
I meccanismi in vigore per questo rinnovo indicano secondo l’associazione Aduc “solo un cambio di persone e di direzioni varie ma sempre nella stessa logica: servizio di informazione ed intrattenimento istituzionale a tutto tondo, dalla culla alla bara.
Recenti episodi hanno confermato questa situazione: la presunta censura sull’artista Fedez e la diffusione di una trasmissione (Anni 20) con una miscela che qualcuno ha etichettato come antieuropeista ma che era soprattutto una miscela di fakenews. Oltre questo sono in corso varie invettive con lo scambio di epiteti iconoclastici del tipo “fascista” o “comunista”. Niente di nuovo. L’attuale assetto è retto dalla cosiddetta riforma del 2015 dell’allora premier Matteo Renzi, che aveva modificato la disciplina della governance, introducendo la figura dell’amministratore delegato al posto di quella del direttore generale, riducendo il numero dei membri del Consiglio di amministrazione e modificando le modalità della loro designazione. Un ritocchino rispetto alla precedente “riforma Gasparri” del 2004.
E’ di oggi la presentazione di un nuovo progetto di riforma del partito sempre di Matteo Renzi, Italia Viva: azzerare la governance, una nuova Fondazione di indirizzo, una struttura autonoma dalla politica. Progetto che si aggiunge ad altri già presentati in questa legislatura: Andrea Orlando (Pd), Valeria Fedeli (Pd), Federico Fornaro (Leu), Primo Di Nicola (M5S).
“Tutto gira intorno ad alcuni nodi decisionali: Parlamento e Governo. E, in effetti, se si vuole una informazione ed intrattenimento di Stato, non potrebbe essere altrimenti.
Ma è quello che potrebbe/dovrebbe servire ad uno Stato libero e ad una informazione libera? Per quanto riguarda lo Stato, si parte male, il finanziamento è frutto di una falsità: chiamano canone un’imposta che si paga per il possesso di un apparecchio tv, anche se non lo si usa per guardare la Rai. Con l’aggiunta che, visto che la riscossione avviene in automatico sulle bollette della luce, se non si possiede un apparecchio non basta non pagare l’imposta, ma occorre anche spendere soldi e darsi da fare per dire che non si possiede, con diversi errori per il recepimento di questa dichiarazione e poi occorre darsi sempre da fare per ottenere i rimborsi”.
“Per quanto riguarda l’informazione libera – prosegue ancora Aduc – si può chiamare libera un’informazione gestita da chi, Rai, verso i suoi concorrenti non contribuisce solo a battersi per le commesse pubblicitarie (unico introito dei suoi concorrenti) ma fruisce, in abuso di posizione dominante, anche del cosiddetto canone? E gestita da chi, Stato, è al contempo proprietario di questo monopolio e responsabile delle leggi che indirizzano, regolamentano e sanzionano il tutto? Che senso ha tutto l’ambaradan in corso per la cosiddetta riforma. Ovviamente ha senso per chi cerca solo nuovi strumenti per la spartizione di questo servizio… ma ha senso per i cittadini, quelli che quando sono stati chiamati ad un referendum in materia si sono pronunciati a favore di una privatizzazione della Rai?
Noi crediamo – conclude il comunicato dell’associaizone – che l’informazione istituzionale (e solo quella, non l’intrattenimento) dovrebbe essere affidata a chi vince una gara. E una Rai privata, come qualunque altra tv o radio, potrebbe mettere le professionalità acquisite a disposizione di se stessa in un mercato non monopolista”.