Gallia in uscita, Costamagna vuole restare. In tanti bramano quelle poltrone: Arcuri di Invitalia, Miccichè, Scannapieco (Bei) e lo scalpitante Palenzona. Ma molto dipende da chi ci sarà a Palazzo Chigi.
Sarà che il drammaturgo Anthony McCarten ne ha scritto una memorabile storia e che il regista Joe Wright, dirigendo un formidabile Gary Oldman, l’ha trasformata in un film da Oscar (“L’ora più buia”), ma mai come di questi tempi è stata evocata la figura di Winston Leonard Spencer Churchill. Forse è per questo, o forse è per la Brexit, o forse perché di statisti come lui non ce ne sono più da troppo tempo e se ne sente maledettamente la mancanza, sta di fatto che il grande politico inglese si è risvegliato dal lungo sonno della storia.
E, immancabile sigaro “Romeo y Julieta” stretto tra le labbra e bicchiere in mano, whisky Johnny Walker o champagne Pol Roger che sia, smania dalla voglia di dettare alla fidata segretaria personale Elizabeth Layton lunghe lettere di commento agli avvenimenti odierni. Cui guarda con un misto di curiosità, cinismo e disprezzo. Noi di Lettera43.it, che ci riconosciamo senza riserve tanto nelle sue pubbliche virtù come nei suoi vizi privati, lo abbiamo intercettato e gli abbiamo offerto la nostra libera tribuna per commentare le italiche vicende. E lui ha volentieri accettato. Thank you, sir.
L’ora è buia, cari lettori di Lettera43.it. Per la mia Gran Bretagna, dico. Che è finita nelle mani di una ridicola donnetta, Theresella Maggio, altrimenti detta Theresa May, e peggio starebbe se finisse in quelle del profeta Geremia, che in ebraico vorrà pur significare “elevato dal Signore”, ma che nella versione anglicizzata sta per Jeremy Corbyn, laburista testardamente radicale. Tuttavia, anche voi italici, da quel che vedo da quassù, non ve la passate tanto bene. Se penso che tra pochi dovrete scegliere tra un vecchio mandrillo, un 40enne presuntuoso e malcresciuto, un sovranista da strapazzo e un giovinotto senza né arte né parte, sto male per voi. E non è l’unica cosa che mi manda il mio Johnny Walker di traverso.
GIOCHI DI POTERE INCROCIATI. Prendete la partita Cassa depositi e prestiti. Ora, come forse sapete perché lo scrivono i libri di storia, io amo il potere, e i giochi che intorno a esso si fanno. Se poi s’incrociano il potere politico e quello economico e finanziario, il mio godimento è assoluto. Quasi come una boccata dei miei cubani preferiti. Ma, suvvia, quello che vedo intorno alla vostra Cdp è una guerra dei poveri, anzi una guerra tra poveretti.
Intanto i due uscenti. Uno, quel Fabio Gallia che alla Bnl ancora brindano che se ne sia andato, ha fatto le valigie già mesi fa, nella convinzione che un posto nella finanza milanese – che è nella città del bosco verticale che vuole andare, e non solo per ragioni professionali – lo avrebbe trovato con uno schiocco di dita. Adesso mancano due mesi al D-day, ma per quanto abbia fatto schioccare tutte le dita, compresa quelle dei piedi, per lui non è salto fuori niente, neppure un posto da operatore ecologico.
NASCE L’ASSE CON GENTILONI. L’altro è quel Claudio Costamagna che per anni è stato nella mia Londra, facendo un mucchio di soldi. Lui, signorilmente, aveva fatto sapere a tutti che a fine mandato avrebbe lasciato. Ed era veramente intenzionato a mollare: senza Matteo Renzi a Palazzo Chigi, con cui era culo e camicia, gli sembrava di essere diventato un subordinato. Poi piano piano il rapporto con il premier Paolo Gentiloni è cresciuto, e con esso la voglia di restare. Ovviamente il buon Claudio non lo dice, è furbo. Ma lo lascia intendere. E Gentiloni lo ha capito.
Così quando qualche sera fa il presidente del Consiglio si è incontrato a casa di Francesco Rutelli con Franco Bassanini, e loro tre hanno parlato di Cdp, il premier pacato ha messo le carte in tavola. Primo: fino all’assemblea della Cassa, prevista ad aprile inoltrato, non si parla di nomi. Se apro quel dossier, Renzi mi si attacca alla giugulare – deve aver detto, ma siccome parlava a bassa voce e io ero al decimo whisky della giornata, potrei sbagliare sulle singole parole, ma non sul senso del discorso – e io in questo momento non voglio dire né un sì né un no a Matteo.
PROFUMO NON SI SPOSTERÀ. Dunque, meglio andare a dopo le elezioni e avere il tempo di capire chi sarà a Palazzo Chigi e chi in via XX Settembre al Tesoro. Concetto, questo, che Gentiloni ha ribadito anche a Carlo Calenda, il ministro che mi sta simpatico perché nel suo ufficio di via Veneto ha una gigantografia del sottoscritto, che lo sollecitava per sapere se davvero era intenzionato a spostare Alessandro Profumo da Leonardo a Cdp. Di Cassa non è il momento di parlare, ma comunque non ho nessuna intenzione di toccare Profumo, che ha il difficile compito di sistemare i danni procurati da chi l’ha preceduto e ha bisogno di tempo e tranquillità, ha detto Paoletto a Carletto.
LA VERGOGNA DI FERROVIE. Un’espressione di fiducia che, invece, non mi risulta Gentiloni abbia verso Renato Mazzoncini, verso il quale credo abbia lo stesso gradimento che io riservo agli analcolici. E sto parlando di prima del black monday in cui il sistema ferroviario italiano è rimasto paralizzato per quattro dita di neve e un po’ di ghiaccio. Una situazione pazzesca, cari italiani: se fosse successa nella mia Gran Bretagna, vi posso assicurare che l’amministratore delegato delle Ferrovie e il ministro competente, quel prete lesso di Graziano Delrio, mi avrebbero consegnato le loro rispettive dimissioni immediatamente. Scandaloso che non l’abbiano fatto!
Ma dicevo di Gentiloni: parlando con i suoi interlocutori di Cdp, ha esplicitamente detto che voleva evitare di trovarsi di fronte a un’altra forzatura come quella del rinnovo del mandato di Mazzoncini, magari sotto il ricatto di un’operazione a dir poco bislacca come quella di unire in matrimonio Ferrovie e Anas. Anche perché si sta allungando la fila dei pretendenti al soglio di via Goito.
SCALPITA L’ORFANO DI UNICREDIT. Per la poltrona di Gallia si sono iscritti alla corsa in tanti: da Domenico Arcuri di Invitalia a Gaetano Miccichè, dal vice presidente della Bei Dario Scannapieco all’unico interno a Cdp, il cfo Fabrizio Palermo. E siamo solo all’inizio. Ma non meno lunga è la lista di chi vorrebbe succedere a Costamagna. Chi scalpita di più, però, è Fabrizio Palenzona, rimasto orfano di Unicredit e per questo riparatosi a Prelios e alla presidenza di Conftrasporto, la confederazione dei trasporti e della logistica che fa capo a Confcommercio, dove sono sbarcati gli armatori transfughi da Confitarma.
VA BENE UN POSTO DA CONSIGLIERE. Ed è proprio al vertice della potente confederazione dei commercianti, passando dal trasporto, che Ciccio Palenzona vorrebbe arrivare una volta finito il mandato Carluccio Sangalli. A meno che non riesca a convincere il per ora recalcitrante Giuseppe Guzzetti, cui come presidente dell’Acri spetta formalmente di indicare il nome per la presidenza di Cdp. Non dovesse riuscire il colpo, Palenzona si accontenterebbe di essere uno dei tre consiglieri di Cdp espressi delle Fondazioni, magari al posto di Mario Nuzzo che attualmente è il vice di Costamagna.
Vedremo come va a finire, quello che è certo è che ne parleremo dopo il voto. Ora sono stanco e vado a dormire, non senza un ultimo giro di champagne e non senza aver raccomandato agli italici potenti di fare attenzione: le vostre puntate all’estero, ufficiali e ufficiose, sono tenute d’occhio. Lo dico a Fabrizio Pagani, che ha voluto a tutti i costi essere il primo ospite d’onore invitato dal nuovo ambasciatore a Londra, Raffaele Trombetta, in quel di Grosvenor Square.
di “Winston Churchill”, da Lettera43