A Battaglia Terme, in provincia di Padova, si erge maestosa quella che è considerata “la reggia dei Colli euganei”, un edificio di 350 stanze costruito a partire dal XVI secolo da Pio Enea I Obizzi. Si tratta del Castello del Catajo, che tra storia e leggenda affascina il visitatore in cerca di arte, bellezza e mistero. Ariosto cantava “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese”; il Castello del Catajo permette di vivere l’intero verso grazie alla sua natura ibrida tra un castello militare e una villa principesca. L’obbiettivo del commitente era infatti creare una luogo di rappresentanza per intrattenere ospiti da tutta Europa con feste, balli e rappresentazioni teatrali.
Partendo dal nome del castello, si ritiene che “Catajo” non derivi da “Catai”, la denominazione con cui veniva indicata la Cina nel Medioevo, bensì rimandi a “Ca’ Tajo”, cioè “tenuta del taglio”, con plausibile riferimento allo scavo del Canale di Battaglia che tagliò a metà molti terreni agricoli. Stregato da questa dimensione agreste fuori da spazio e tempo, Pio Enea I degli Obizzi scelse di costruire qui un palazzo per la gloria della sua famiglia francese (della Borgogna) di “Capitani di ventura”, giunti in Italia al seguito dell’imperatore Arrigo II nel 1007.
In particolare, Pio Enea I Obizzi decise di ampliare la “Casa di Beatrice”, nucleo del castello, edificata probabilmente tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo come casa di villeggiatura estiva di Beatrice Pio Da Correggio, donna letterata, che nella Ca’ sul Tajo accoglieva uno dei più importanti salotti letterari dell’epoca. Sorse così quello che oggi è denominato “Castel Vecchio” la cui progettazione fu affidata con molta probabilità all’architetto Andrea da Valle. L’edificio venne costruito in soli tre anni, tra il 1570 e il 1573; la parte alta si deve invece ad un’aggiunta del XIX secolo. All’inizio erano previste pitture solo nei muri esterni (riportate parzialmente alla luce durante il restauro del 2018), ma nel 1571 l’Obizzi chiamò Giovanni Battista Zelotti (collaboratore di Paolo Veronese) ad affrescare i muri interni con le gesta della sua famiglia, dando vita ad uno tra i primi cicli di affreschi autocelebrativi del nord Italia, un vera e propria “saga” della famiglia raccontata per immagini. Tra gli affreschi spiccano, nella prima stanza, l’albero genealogico della famiglia Obizzi e sul soffitto la rappresentazione delle tre forme di governo: “La Democrazia” (Roma), “L’Aristocrazia” (Venezia), “La Monarchia” (Religione). Dal grande salone si può accedere alle terrazze, dalla quale si gode di uno splendido panorama sui colli Euganei e sui vari giardini.
Attribuibile a Pio Enea II anche il Cortile dei Giganti, un piccolo teatro a sedici palchi (tra i primi teatri coperti del veneto) e la “fontana dell’Elefante”, nella quale si intrecciano reminiscenze mitologiche (è presente la figura di Bacco) e gusto per l’esotico. Un altro primato riguarda infine il “Giardino delle Delizie” in cui nel 2017 è stato ripristinato l’antico roseto che vanta una collezione di rose antiche dal XVI al XX secolo.
Ad essere articolata, tuttavia, non è solo la costruzione, ma anche la storia dei passaggi di proprietà del castello. Dal principio, la famiglia Obizzi si estinse nel 1803 con il marchese Tommaso, che lasciò il castello agli eredi della Casa d’Este, Arciduchi di Modena. Francesco IV e Maria Beatrice di Savoia fecero costruire l’ala visibile più a nord, detta Castel Nuovo, per ospitare la corte imperiale austriaca in visita. Alla morte di Francesco V, senza eredi, il Catajo passò all’erede al trono d’Austria Francesco Ferdinando D’Asburgo. Fu per opera di questi due ultimi proprietari che le raccolte archeologiche degli Obizzi, assieme a vaste collezioni tra cui strumenti musicali, armi e quadri, furono trasferiti a Vienna e nel castello di Konopiste a Praga . Alla fine della prima guerra mondiale il Catajo venne requisito dal governo italiano come riparazione dei danni di guerra. Messo all’asta a seguito della crisi del 1929, il castello venne acquistato dai Dalla Francesca che lo rivendettero alla fine del 2015 a Sergio Cervellin, imprenditore veneto e proprietario attuale.
Fuori dalla storia rimane la leggenda. Al castello è conservata la “pietra insanguinata” che ricorda l’assassinio di Lucrezia Obizzi e fomenta il racconto delle apparizioni del fantasma della donna nel castello. Si narra che Lucrezia morì assassinata nel 1654, nella propria camera da letto, per mano di Attilio Pavanello, amico del figlio invaghitosi di Lucrezia e da lei rifiutato. Attilio verrà ucciso tredici anni dopo da Ferdinando, figlio di Lucrezia sicuro della sua colpevolezza. Marketing o realtà? Ciò che rimane è il fascino senza tempo di un castello che sa raccontare.