Se è vero che ogni capitale italiana è riassunta nell’immaginario collettivo da un simbolo – il Vesuvio per Napoli, il Duomo per Milano, il Colosseo per Roma -, quando questo accade altrove la sensazione di unicità è percepita anche maggiormente. Il Castello Medievale di Itri incarna una di queste unicità.
Itri è un comune che si estende per poco più di 100 chilometri quadrati e ingloba nel suo territorio oltre 10mila abitanti. Si trova nella provincia di Latina ed è una delle tappe della Riviera di Ulisse. È famosa per la sua parte naturalistica – tra diversi rilievi montuosi che superano i 1000 metri s.l.m., Punta Cetarola e la sua Spiaggia dei sassolini – e per aver dato i natali a Fra’ Diavolo, le cui vicissitudini hanno ispirato opere letterarie e film; ma è la sua architettura ad identificarla e cristallizzarla nel tempo e nello spazio.
I luoghi d’interesse religioso, ad esempio, sono tantissimi – sviluppandosi tra monasteri e santuari – e sono presenti diversi siti archeologici che ne svelano il passato antico; il castello, però, costituisce una vera e propria icona della città, il punto di snodo per tante storie e leggende di sangue che la riguardano.
Una struttura difensiva e un borgo medievale – Il castello appare ancora oggi come una fortezza imponente a dominio del circondario: costruito sull’estremità più alta della collina di Sant’Angelo, vede il suo fulcro in una torre pentagonale con cinta merlata che viene attribuita a Docibile I, ipato bizantino di Gaeta (882). La seconda torre, ancora più maestosa e con sagoma quadrata, venne realizzata solo nel 950 per volere di Marino I, nipote di Docibile.
Il castello, nel corso del tempo, è stato più volte rivisitato e ammodernato nella struttura da continui lavori che hanno messo in piedi la parte abitativa, la “Torre del coccodrillo” e il relativo cammino di ronda.
Ed è proprio intorno a questa terza torre che ruotano diverse leggende. Si tratta di un torrione cilindrico che, stando a quanto si vocifera, nascondeva un vero e proprio coccodrillo con tanto di fossato: un “ospite” segreto al quale, come si racconta in tante storie nere simili, venivano gettati in pasto i condannati a morte.
La parte abitativa, invece, è strutturata su due piani, ognuno diviso in tre sale, che si connettono ad altri ambienti di cui il più spettacolare è sicuramente l’antica cisterna sottostante dove venivano raccolte le acque piovane. Tra i resti di un forno antico, una vasca per conservare il cibo, un caminetto e qualche affresco, ci si può perdere ad immaginare come si vivesse, qualche centinaio di anni fa, tra le sue stanze.
Un’altra leggenda si collega proprio a questi luoghi e, in particolare, alla piccola cappella privata che sorge dove è ancora oggi visibile un affresco rappresentante “Sant’Antonio abate e Madonna lattante con il Bambino”: i fantasmi abiterebbero questi ambienti, lamentandosi nelle notti di temporale e fluttuando lungo il corridoio. Secondo alcuni, sarebbero proprio le anime in pena dei condannati a morte.
Le altezze del maniero regalano panorami a perdita d’occhio: ma, oltre alla terrazza a cui si accede dalla sezione abitativa, c’è anche un fortilizio con tre piccole torrette cilindriche (che articolavano il punto di ristoro per cavalli, servitù e gendarmi) che offrono la vista sul ghetto ebraico, un tempo organizzato intorno ad una piccola sinagoga. Il rione era stato voluto dal Cardinale Ippolito de’ Medici: “spaventato” da ciò che rappresentavano i grandi artigiani e commercianti ebrei, li rinchiuse in questa piccola fetta di territorio, circondata da mura e separata dal resto della cittadella da una porta che veniva rigorosamente chiusa a chiave nelle ore notturne, scongiurando eventuali “mescolamenti” di popoli.
In questo contesto si inserisce un’ultima suggestione che vale la pena raccontare. Questa dimora storica ha accolto tantissime personalità importanti e influenti: una su tutte, la contessa di Fondi, Giulia Gonzaga, amica del Cardinale Ippolito de’ Medici e madre di un suo figlio illegittimo. La nobildonna era talmente tanto celebrata, nel suo tempo, che nel 1534 il Barbarossa cercò di rapirla per donarla al suo sultano, Solimano il Magnifico; fu per questo motivo che la Gonzaga scappò da Fondi e si rifugiò ad Itri, confondendo il pirata che, convinto che si nascondesse nel convento delle Benedettine a San Martino in Pagnano, lo rase al suolo facendo strage delle monache che lo abitavano. A chiusura del cerchio, si narra che fu tra le mura del castello che il Cardinale Ippolito de’ Medici venne avvelenato dal suo successore, perdendo la vita: la sua morte prematura, in effetti, è sempre rimasta avvolta nel mistero.
Come tante altre architetture della Riviera di Ulisse, anche il castello di Itri ha patito i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale: acquistato dalla provincia di Latina ad un prezzo simbolico dall’ultimo proprietario, il Dott. Francesco Saverio Ialongo, venne ceduto al Comune e, infine, restaurato, divenendo interamente visitabile solo nel 2007.