Un miliardo e duecento milioni di troppo. Un miliardo e duecento milioni che dovrebbero essere pagati dagli attuali soci di Autostrade, quindi anche dalla famiglia Benetton, ma che nel piano economico finanziario di Autostrade rischiano di essere messi in conto agli automobilisti nei prossimi cinque anni. Si tratta dell’importo delle manutenzioni incrementali, cioè quelle aggiuntive da dover fare per compensare le mancanze di gestione degli anni precedenti in modo tale da mettere maggiormente in sicurezza la rete autostradale.
È il principale rilievo che l’Authority dei Trasporti fa al ministero delle Infrastrutture nel parere redatto sul Pef di Autostrade, il documento con cui si stabilisce come devono essere calcolati i costi di gestione rispetto a quelli di costruzione, cioè quelli che mettono in cantiere nuove infrastrutture. Il parere inviato qualche giorno fa al Mit dicono che abbia provocato un terremoto. E che abbia persino spinto Cassa Depositi e i fondi esteri Blackstone e Macquarie a darsi un’altra settimana di tempo per presentare l’offerta non vincolante per l’88% di Autostrade di pertinenza della holding Atlantia.
Senza un Pef approvato da tutti gli enti coinvolti, quindi anche dalla Corte dei Conti, non si può calcolare il valore dell’azienda. Ecco perché lo stesso dicastero guidato da Paola De Micheli col capo di gabinetto al Tesoro, Luigi Carbone e Roberto Chieppa, segretario generale di Palazzo Chigi, starebbero ragionando sulla richiesta di ulteriori modifiche al testo. Nel pacchetto compensazioni da 3,4 miliardi proposto da Autostrade a luglio c’è però una voce denominata “investimenti non remunerati in tariffa” dall’importo medesimo: 1,2 miliardi. Che a conti fatti servirebbe a sterilizzare i costi derivanti dalle manutenzioni aggiuntive. L’Art mette nel mirino anche l’incremento annuo tariffario dell’1,75% previsto nel Pef a partire dal 2021 sino al termine della concessione, cioè nel 2038. Scrive l’Art che sia «da intendere quale valore soglia di incremento massimo. La variazione tariffaria media annua riconducibile alle ordinarie componenti di gestione e costruzione determinerebbe un incremento limitato al + 1,08%». Quindi non un incremento automatico dell’1,75% ma uno più in linea con il tasso d’inflazione. Fonti vicine ad Atlantia però rilevano che quel tasso fu proposto dal governo e inserito nell’accordo di luglio come testimonia una lettera del 23 di quel mese in cui Autostrade certificava di aver accettato la proposta dell’esecutivo. E fanno filtrare che a questo punto se il rendimento dovesse scendere la società si riserva la strada del contenzioso amministrativo ridiscutendo tutto l’accordo costruito in questi mesi. Qualcuno ipotizza persino che la discussione sul tasso arrivata proprio ora sia un elemento negoziale del governo per costringere Atlantia a vendere Cassa Depositi e ai fondi e non tramite una procedura di vendita competitiva sul mercato.