Da Cecilia Sala ad Alberto Trentini: coraggio o imprudenza nei paesi a rischio? Dialogo con Giuseppe Arnò su giornalisti, cooperanti e diplomazia

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Cecilia Sala e Alberto Trentin
Cecilia Sala e Alberto Trentin

Il recente caso della giornalista italiana Cecilia Sala, arrestata il 10 dcembre in Iran e poi liberata dopo 20 giorni grazie all’intervento del governo Meloni e all’infuenza della sua famiglia (leggi anche “Cecilia Sala va liberata e subito a prescindere da cosa disse sui marò. Preoccupa il rilievo del ruolo del padre in MPS“; “Cecilia Sala, dopo la sua auspicabile scarcerazione: un futuro da cronista rigorosa o da opinion maker in cerca di like?” e “EDITORIALE | Liberazione di Cecilia Sala, ora faccia dei detenuti meno noti di lei la bandiera sua e del suo mondo. Che conta…“), riaccende il dibattito sulla prudenza di operare in contesti pericolosi.

Mentre si celebra il lieto fine, emerge, infatti, la notizia dell’arresto in Venezuela del (meno supportato?) cooperante italiano Alberto Trentini, della Ong Humanity & Inclusion, di cui non si hanno più notizie addirittura dal 15 novembre scorso, mettendo nuovamente al centro dell’attenzione la questione dei rischi che affrontano giornalisti e volontari.

Giuseppe Arnò, direttore de La Gazzetta Online e presidente dell’Associazione Stampa Italiana in Brasile, ha espresso opinioni critiche sull’opportunità di avventurarsi in questi contesti (leggi i suoi articoli “Pericolo: un mestiere molto italiano” e “Avventure esotiche e castagne bollenti: gli italiani in giro per il mondo“). Di seguito, un dialogo costruttivo tra le sue posizioni e le mie riflessioni.

Domanda
“Tutto giusto nei tuoi articoli, ma se per evitare problemi non si può fare più nulla nei paesi ‘a rischio’, lasciamo nell’oblio e nell’abbandono anche i loro abitanti oppressi?”

Risposta di Arnò
“No! Una cosa è scrivere e difendere attivamente i diritti degli oppressi, altra è mettere a repentaglio la vita degli avventurosi e la pazienza del governo. Questa la mia opinione. L’aiuto si può dare e non è necessario provocare il dittatore o la dittatura di turno offrendogli la possibilità di ricattarci.”

Domanda

Premesso che, pur comprendendo il punto di vista, è difficile ignorare che molte situazioni di oppressione vengono portate alla luce solo grazie al coraggio di chi rischia sul campo. Se la prudenza è necessaria, non rischiamo così di rinunciare a un intervento diretto dove è più necessario? “In questo caso la domanda specifica è se, senza il papà potente di Sala, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni andrà in Venezuela

Risposta di Arnò
“È ragionevole pensare che non ci vada. Altrimenti converrebbe farle cambiare lavoro e farle fare la globe-trotter governativa. E poi mica ha la sindrome di Wanderlust!”

Domanda
Detto che è vero che ogni caso ha un contesto specifico e non sempre il governo può agire con la stessa intensità, tuttavia, il rischio è che si crei una disparità di intervento a seconda della risonanza mediatica o dei legami personali. Sarebbe un errore ignorare il caso Trentini solo perché meno noto o meno influente. Quindi non è lecito neanche fare il volontario per una ONG nei paesi a rischio?

Risposta di Arnò
“Non è lecito, a meno che si sia coscienti che si va a proprio rischio e pericolo senza contare sull’aiuto di nessuno. Finché ci sono satrapi che governano determinati paesi, il buon senso consiglia di dirigersi verso paesi meno barbari.”

Riflessioni finali, personali
È chiaro che chi opera in contesti pericolosi deve essere consapevole dei rischi. Tuttavia, vietare o consigliare di evitare completamente l’azione in questi territori significherebbe lasciare al loro destino intere popolazioni oppresse. Il punto di equilibrio tra rischio personale e necessità di intervento resta complesso da individuare.

Il dialogo con Giuseppe Arnò mette in evidenza due prospettive fondamentali: da una parte la necessità di proteggere i nostri connazionali evitando interventi imprudenti, dall’altra il bisogno di non abbandonare chi vive in condizioni di oppressione.

Il caso di Cecilia Sala, concluso felicemente, e quello di Alberto Trentini, ancora aperto e augurandoci tutti insieme, una volta conosciutene cause e dinamiche, che si risolva positivamente quanto prima sono un monito sull’importanza della diplomazia, ma anche sulla necessità di definire una linea chiara per chi opera in contesti pericolosi. Rinunciare del tutto a intervenire nei “paesi a rischio” potrebbe significare, infatti, accettare passivamente l’ingiustizia.