Di Cecilia Sala, giornalista attualmente detenuta illegalmente in isolamento nel carcere di Evin, in Iran, stanno facendo discutere due post risalenti agli anni 2013 e 2015, nei quali Sala esprimeva critiche nei confronti del sostegno italiano ai due marò coinvolti nel caso della petroliera Enrica Lexie, quando, scambiandoli per pirati, uccisero il 15 febbraio 2012 due pescatori che si erano avvicinati alla nave su cui prestavano servizio come scorta.
Nel primo post, dell’11 marzo 2013, Sala scriveva: «Salvare due persone giocandosi la propria affidabilità significa metterne in pericolo molte di più». Il secondo, del 6 gennaio 2015, riprendeva il primo per criticare l’approccio italiano al caso: «Se a due militari dell’esercito indiano capitasse per sbaglio di ferire a morte il fruttivendolo e l’edicolante di fiducia di Matteo Salvini su una pista di sci in Val Pusteria, senza indugiare un attimo l’Italia dimostrerebbe la sua superiorità e buona educazione rimandando a casa i due uomini in divisa, affinché aspettino tra le braccia dei loro cari un processo che non si terrebbe mai», con ciò alludendo che mai sarebbero stati processati in patria i due ipotetici indiani e i due reali marò.
Oggi, secondo buona parte dello stampa che o si scandalizza per chi ha ricordato le sue idee giovanili e/o dimentica un passaggio fondamentale di cui scriveremo, è sbagliato chiedersi se la giornalista abbia cambiato idea, soprattutto alla luce del sostegno attualmente ricevuto dall’Italia, che si sta mobilitando per riportarla in patria, come già accaduto in altri casi di connazionali detenuti all’estero, da Patrick Zaki a Chico Forti.
Visto il silenzio stampa che ha chiesto la mamma di Cecilia, che a scanso di equivoci per chi scrive va liberata e subito e senza discutere se l’iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, di cui è chiaro che il Paese di origine voglia la liberazione contestuale, sia detenuto legalmente o meno in Italia su richiesta degli USA (se lo fosse illegalmente il nostro Paese si metterebbe sul piano dell’Iran, non nascondiamocelo), ho riflettuto se scriverne o meno, ma, cercando di essere chiaro e non strumentalizzabile, sento di doverlo fare per rispetto di chi ci legge, che va sempre informato sui aftti ma anche sui dubbi.
Ebbene sì, Cecilia Sala fin dal 2013, a marzo, si schierò contro le trattative per la liberazione dei due marò detenuti in India definendo ogni trattativa al riguardo una perdita di affidabilità dello Stato.
È vero che allora aveva meno di diciott’anni, anche se per pochi mesi, e quindi le vanno concessi i benefici di inventario o le attenuanti per aver voluto esprimere posizioni forti a quell’età, ma Dio non voglia, lo pensa anche la madre, che oggi qualcuno di quelli che contano, segua il suo consiglio di allora, ma ora nei suoi riguardi.
C’è, poi, come dicevamo, una dimenticanza o scarsa evidenza data a questo fatto dalla stampa: Cecilia Sala è figlia di Renato, membro indipendente del consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi di Siena, quindi non è un obiettivo, indiretto?, da nulla.
Senza malignare sull’intensità odierna dei decisi tentativi di liberazione, ripeto sacrosanti aldilà di quello che lei pensava nel 2013 e da portare avanti con determinazione e celerità senza aspettare gli anni che i due marò dovettero “scontare” subendo anche i danni psicologici che la mamma di Cecilia teme per la figlia, il ruolo di rilievo del padre in MPS fa venire qualche brutto pensiero: se, in ogni caso Cecilia Sara come giornalista poteva e doveva andare in qualunque luogo per fare il suo lavoro, non si può dire che l’Iran abbia scelto a caso contro chi fare ritorsioni.
Non contro una sia pur brava giornalista ma contro una giornalista figlia di un alto esponente della finanza italiana…
Un ulteriore motivo per alzare la guardia a difesa di Cecilia ma anche un monito per lei quando tornerà a casa, in Italia, prima possibile, lo speriamo e lo vogliamo con tutte le nostre forze insieme a quelle, ne siamo sicuri, dei nostri lettori: la prossima volta, prima di scrivere qualcosa (su X o sul suo giornale), conti fino al numero dei giorni che passerà ancora segregata in Iran.
Perché verba volant, scripta manent (“le parole volano, gli scritti rimangono“).
Chiedere ai due marò per credere…