«Se volevo muovermi liberamente come un capriolo e respirare a pieni polmoni sarei andato a vivere in una malga in alta montagna, non in centro a Vicenza». Matteo Celebron, assessore allo Sport della città berica e segretario cittadino della Lega ha scelto proprio il momento giusto per dire la sua stupidaggine: subito dopo le manifestazioni di milioni di studenti in tutto il mondo per scuotere i governi, nella scia di Greta Thunberg, e salvare il pianeta dal degrado ambientale. La necessità assoluta di trovare un equilibrio tra le esigenze (spesso perverse) di una società industriale dilagata tra le città e quelle dei cittadini nati e cresciuti in mezzo ai capannoni, alle ciminiere, alle concerie, agli impianti inquinanti, è uno dei pilastri dell’Occidente almeno dal dicembre 1952. Quando il Grande Smog, il più grave inquinamento atmosferico nella storia della Gran Bretagna dovuto al consumo del carbone per il riscaldamento domestico sommato a quello per le attività industriali, uccise almeno 12mila abitanti. I quali, per citare l’illuminato “pensatore” berico, non avevano avuto la possibilità di andarsene a brucare l’erba come caprioli per «respirare a pieni polmoni» in una malga in alta montagna o in una sperduta fattoria delle Isole Shetland.
Tutto il mondo più produttivo, da allora, ha cercato di darsi una regolata. Celebron non lo sa, ma anche Vicenza, dopo decenni di crescita impetuosa e caotica che fecero sì fiorire economicamente la città e la sua provincia ma causando danni spesso irreparabili al territorio (tra il 1951 e il 2001, dice uno studio di Natalino Sottani, la popolazione crebbe del 32% e la superficie urbanizzata del 324%: 10 volte di più) sta cercando da tempo di conciliare le sue anime. Qiella storica e paesaggistica e quella industriale. Una scelta obbligata. Soprattutto dopo l’ultima accelerazione del decennio 1991-2001, che vide la nascita di 1.070 metri cubi di capannone (poi in buona parte rimasti vuoti) per ogni neonato.
Stranieri inclusi. Va da sé che, in questo contesto, la scelta del Comune oggi governato dalla destra (con schizzi neofascisti) di riaprire al traffico l’isola pedonale di corso Fogazzaro, l’antico e splendido cardo che taglia il decumano, corso Palladio, era destinata a esser accolta dalle proteste, pacifiche e civili, di tutti gli ambientalisti e non solo. A partire da un signore ottantenne, Mario Zocche. Il quale il giorno della riapertura, chiesta da una parte dei negozianti contro altri negozianti, si è piazzato su una sedia in mezzo al Corso onde impedire, per un’oretta, l’accesso delle macchine, come ha scritto il Giornale di Vicenza.
Una protesta accolta su Facebook da Celebron con una contro-foto (lui su una sedia al centro della nuova tangenziale in costruzione, peraltro sponsorizzata dalla stessa destra e dalla Lega) col messaggio che irrideva agli ambientalisti, mondiali e vicentini. Accusati d’essere passatisti nemici del progresso. «Quindi da domani basta auto, stop riscaldamento in casa, no Tav e basta aerei. No anche al 5G, stop iPhone e Galaxy. Si torna al calesse, cavallo e bici. Per comunicare calamaio e carta». Avesse usato carta e calamaio, in effetti, avrebbe potuto pensarci due volte. E risparmiarsi lo smarcamento del sindaco Francesco Rucco e della stessa Lega. E le ironie del sindaco precedente Achille Variati: «Due sedie, due mondi: le idee più vecchie, però, non sono dell’ottantenne…».