La centrale elettronucleare del Garigliano: la gestione delle scorie, lo smantellamento e le voci sulle fughe radioattive

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Centrale elettronucleare del Garigliano
Centrale elettronucleare del Garigliano. Credits: Sogin.

A un passo dal confine tra Lazio e Campania, l’ex centrale elettronucleare del Garigliano domina il paesaggio, incastonandosi a forza e stonando con lo scenario naturale e archeologico del circondario.

Si tratta, come abbiamo visto nell’articolo dedicato alla sua storia, di una centrale di I generazione, costruita tra il ’59 e il ’64, anno in cui è stata collegata alla rete elettrica nazionale, e fermata già nel ’78 per manutenzione, per poi essere definitivamente disattivata nel 1982, due anni dopo il terremoto dell’Irpinia e cinque anni prima del referendum abrogativo che avrebbe messo un punto al nucleare in Italia.

L’impianto, grazie al VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) ottenuto nel 2009, ha avviato il decommissioning con Sogin (la società statale nostrana responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi) che ne è proprietaria dal ’99: entro il 2028 ci si attende che verranno adeguatamente trattate le 268.150 tonnellate di rifiuti e le 5.739 tonnellate di rifiuti radioattivi, per un costo complessivo di 383 milioni di euro. Lo “scheletro” della struttura, però, resterà in piedi in quanto “patrimonio architettonico del nostro Paese“.

Ma cosa sappiamo della decontaminazione, dello smantellamento e delle voci che giravano qualche tempo fa su possibili fughe radioattive dal sito?

Lo smantellamento – La prima operazione fatta dopo il fermo ha riguardato il drenaggio dei circuiti idraulici del reattore; si è, poi, proseguito con l’allontanamento degli elementi di combustibile della centrale ed è stata svuotata la piscina all’interno della quale erano custoditi. In particolare, il combustibile irraggiato è stato trasferito in Inghilterra per il riprocessamento e al deposito Avogadro di Saluggia; da quest’ultimo sito, nel 2011, è cominciato il trasporto verso la Francia. Sogin ha adeguato l’edificio ex diesel a deposito temporaneo, che è andato a corredo di un’ulteriore struttura costruita appositamente, il D1. Il fine, ovviamente, è la custodia in sicurezza dei rifiuti radioattivi, in attesa del definitivo trasferimento al Deposito Nazionale su cui, tuttavia, permangono ancora dubbi e perplessità e non ci sono certezze né a livello di localizzazione né di tecnologia.

Intanto, anche la questione amianto: nel 2007 sono terminate le attività di rimozione dall’edificio turbina e l’anno dopo sono stati ripristinati gli impianti elettrico, di ventilazione, drenaggio liquidi e monitoraggio radiologico per la relativa bonifica, conclusasi nel 2010 anche grazie alla realizzazione dei laboratori chimici “freddo” e “caldo”.

Per garantire l’integrità degli edifici turbina e reattore si sono resi necessari ulteriori lavori per il ripristino del rivestimento protettivo delle due strutture e, parallelamente, si è pensato alla realizzazione del sistema di trattamento effluenti liquidi radioattivi (radwaste) e sono state bonificate due delle tre trincee interessate da interramento rifiuti a bassa attività.

Discorso a parte quello del camino, la grande struttura in cemento armato, alta ben 95 metri, che convogliava in quota lo scarico in atmosfera degli effluenti gassosi provenienti dagli edifici a potenziale rischio di contaminazione radioattiva (cioè turbina, reattore e rifiuti radioattivi, anch’essi oggetto di smantellamento). Dapprima consolidata e impermeabilizzata, è stata internamente decontaminata con l’aiuto di un robot antropomorfo per poi essere demolita. Un’operazione complessa che ha richiesto persino la costruzione di un modello in scala per collaudare sistemi e macchinari.

Fughe radioattive? – Le notizie su possibili (probabili?) fughe radioattive relative alla centrale elettronucleare del Garigliano si rincorrono sul web da, ormai, oltre 10 anni. Al netto di alcuni articoli catastrofisti e dall’impostazione semi-complottista (in cui si avalla completamente il bias congnitivo del leggere i dati nella maniera migliore per confermare le proprie tesi e senza, quindi, la dovuta obiettività), i riferimenti maggiormente presi in considerazione sono stati un paio.

Innanzitutto l’elevata incidenza di tumori nella zona, smentità, però, da un paper redatto nel 2015 dall’Istituto Superiore di Sanità con il CCM (Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie) in cui si legge:

La centrale nucleare “Garigliano” dista dal centro abitato del Comune di Sessa Aurunca circa 8.5 km. A questo proposito bisogna notare che ci sono Comuni il cui centro abitato è più vicino (a distanze inferiori a 7 km), quali Minturno, Santi Cosma e Damiano e Castelforte (tutti in provincia di Latina), e Cellole (in provincia di Caserta).

La mortalità per causa dell’intera coorte non è diversa da quella della popolazione regionale. Per l’incidenza dei tumori, il solo dato in eccesso è rappresentato da un aumento di incidenza di cancro della tiroide nelle donne residenti entro 7 km dalle centrali nucleari, che non risulta però in relazione con la distanza dalle centrali nucleari oggetto di indagine; questo risultato rende debole l’ipotesi di un’associazione con l’esposizione a tali centrali.

(…)

Nel Comune di Sessa Aurunca la mortalità generale è in difetto rispetto a quella della popolazione regionale. Sono risultate in difetto anche la mortalità per le patologie oncologiche nel loro insieme, per le malattie dell’apparato respiratorio e di quello digerente. Eccessi di mortalità sono stati evidenziati per le malattie del sistema circolatorio e dell’apparato genitourinario. Tra le patologie con evidenza sufficiente o limitata di associazione con le radiazioni ionizzanti si sono riscontrati eccessi di mortalità solo per il tumore dello stomaco (periodo 1990–1999) e per il melanoma della pelle (anni 1980–1989), mentre si sono osservati difetti di mortalità per diverse patologie tumorali (…). Non sono emersi eccessi di mortalità per le patologie indagate nella popolazione di età tra 0 e 14 anni.

In seconda battuta, sono stati presi in considerazione i Rendiconti presentati dalla Società Italiana di Mineralogia e Petrologia nell’81 (e, quindi, quasi all’atto della disattivazione), in cui si legge:

La prima fase di studio ha portato all’individuazione di una zona di accumulo sedimentario a nord della foce del Garigliano e di una zona generalmente in fase di equilibrio, con qualche situazione locale di erosione, a sud della foce. La distribuzione dei minerali pesanti sulla piattaforma ha permesso di riconoscere due zone soggette relativamente all’influenza del F. Garigliano e del F. Volturno.
Dal confronto fra i dati radiometrici e quelli granulometrici e mineralogici è emersa l’usuale associazione di tenori più elevati in radionuclidi (sostanza chimica radioattiva, ndr) con le particelle sottili e di una meno marcata associazione con alcuni minerali argillosi specifici.

(…)

Tenendo conto della localizzazione naturale dei sedimenti sottili, le attività in radionuclidi considerati dovrebbero presentare i valori massimi in prossimità della riva in caso di costa alta e più distanti nei casi di costa bassa. Ciò è quanto si verifica nel caso in esame.

È stato il WWF a prendere in mano la situazione e a mettere in campo delle vere e proprie denunce precisando diverse cose:

  • lo stop del 1978 avvenne a causa di un guasto tecnico a un generatore di vapore;
  • in seguito al terremoto dell’Irpinia la zona fu qualificata come sismica (prima non lo era), da qui la disattivazione definitiva;
  • gli incidenti di rilievo furono 18 fino al 1982, ma solo nel novembre del 1980 ci fu la prima segnalazione ufficiale ai comuni limitrofi delle Province di Caserta e Latina” riguardo infiltrazioni di acqua di falda nei sotterranei della centrale dove erano ubicati i contenitori di stoccaggio delle resine provenienti dal sistema di purificazione delle acque del reattore. L’incidente “provocò la fuoriuscita di ingenti quantità di materiale radioattivo (in particolare Cesio 137, Cesio 134 e cobalto 60)” e, qualche giorno dopo, “si registrò la morte di 25 bufale che avevano pascolato in aree sommerse dal fiume e la moria di grossi pesci lungo il tratto di mare dove sfocia il fiume Garigliano. (…) sono innumerevoli i casi di malformazioni fetali di piante, animali ed esseri umani e di tumori ed altre patologie direttamente riconducibili all’inquinamento radioattivo, nella zona di Sessa Aurunca, Castelforte (Latina), Minturno (Latina) e gli altri comuni vicini“.

Pertanto, nel 2010 l’associazione ha chiesto alla Sogin di “rendere pubblici i dati attuali sulla presenza delle scorie radioattive stoccate presso la centrale, che fino a qualche anno fa, quando effettuammo la visita, erano ancora là“, procedendo “allo smantellamento della centrale non prima di aver attentamente ascoltato tutte le esigenze delle popolazioni locali che hanno il diritto di essere più che sicuri che tale impresa sia esente da qualsiasi rischio per la salute dell’essere umano, di tutte le altre forme di vita là presenti e dell’ambiente“.

Riconversione – Intanto, l’ultima recentissima notizia parla di una riconversione nell’ambito della prevenzione antisismica prevista dal Recovery Art grazie al Recovery Plan. Insomma, della centrale del Garigliano ne sentiremo ancora parlare a lungo.