Chi è stato il più ingenuo dei tre

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Siamo arrivati all’osso, la democrazia ha mostrato lo scheletro. La lunga avventura post elettorale è approdata ad un abuso. Chi non vuole parlare di colpo di Stato è connivente con le aristocrazie al potere, garanti delle diseguaglianze di classe dentro e fuori i confini nazionali. L’irresistibile avanzata del M5S nel consenso degli italiani aveva terrorizzato le dirigenze di regime al punto di generare una legge elettorale che avrebbe dovuto impedire la sua vittoria e persino la sua alleanza con gli altri partiti antiestablishment. Così, non è stato, e allora le forze di sistema si sono coalizzate per demolire il risultato elettorale.

“Si sono spartiti le poltrone; hanno vinto, ora devono governare; sono degli incapaci, potrebbero solo pulire i cessi; non ci alleeremo mai con loro; com’è possibile tentare di fare il governo con più di una forza politica; ma che analisi ha fatto Giacinto Della Cananea; stanno facendo salire lo spread; sono 80 giorni e non hanno concluso nulla; Conte ha mentito sul curriculum; Paolo Savona è un pericolo per la sicurezza dei risparmi…”.

Non c’è un giornale che sostenga lo sforzo di Luigi Di Maio che, a sua volta, non vuole assolutamente perdere l’occasione di contribuire in prima persona all’esecuzione del programma a 5 stelle e fare qualcosa di memorabile. Matteo Salvini, al contrario, non ha smesso la campagna elettorale né ha tolto gli occhi dai sondaggi, una cosa che lo ha messo in una posizione di forza nei confronti del partner stellato, consentendogli veti e arroganze. I partiti tradizionali e il loro codazzo dirigente stanno ormai compressi dietro le spalle del presidente Sergio  Mattarella, ultimo baluardo allo straripante bisogno degli italiani di liberarsi di loro.

Sembrava che non ci fossero più speranze – le dichiarazioni di Paolo Savona erano diventate più che rassicuranti per la politica italiana nell’eurozona – quand’ecco che chi voleva evitare di arrivare ad un governo, Mattarella e la Lega, hanno allestito un cavilloso braccio di ferro. Dopo l’uscita di Conte dalle sale interne del palazzo, in meno di 20 minuti ne esce il Presidente con un virgolatissimo discorso di 5000 caratteri. Nutrire il dubbio che l’attesa del Presidente incaricato Conte con la lista dei ministri sia stata una finzione del Quirinale è del tutto legittimo.

Lo scontro istituzionale dimostra che il voto popolare non ha il valore che la classe dominante enfatizza quando ha bisogno di essere confermata nei suoi abusi; dimostra che il popolo, su cui si fonda la democrazia, non è un soggetto che ha raggiunto la maggiore età e che, nel più amabile dei casi, ha bisogno costante di tutori. Ma ora che siamo arrivati all’osso, non si deve scambiare una falange per uno sfenoide: lo spread oggi continua ad essere alto sebbene i mercati abbiano saputo dello scampato pericolo Savona. Mattarella, che ha firmato il Rosatellum e le obbrobriose riforme renziane, è principalmente un difensore degli inciuci nostrani, è contiguo ai partiti che li hanno votati. Matteo Salvini aspetta ancora un po’ per decidere se mettere in stato d’accusa il presidente, perché dovrà prima scoprire se gli elettori sono in maggioranza a favore dell’impeachment, e non lasciare erede di tutto il loro risentimento i 5 stelle. Intanto già minaccia l’alleato di Arcore di svincolarsi dalla sua coalizione, pronto a trasferire i voti forzisti nell’egemone forza di centrodestra. Il Movimento si è accorto troppo tardi di aver sperato invano che, per quanto antagoniste, ci siano altre forze che pensino al bene degli italiani.