Le circostanziate considerazioni giuridiche esposte sulla nostra rubrica da Andrea Tarantini sulla questione dell’opposizione della Chiesa, giunta mediante la nota di una sorta di ministro degli esteri del Vaticano, al DDL Zan mettono chiaramente in evidenza l’esistenza di un paradosso istituzionale, il quale non può non avere delle ripercussioni sulla vita e sulla coscienza della popolazione italiana, che assiste perlopiù passivamente a questo caso diplomatico.
È chiaro che al momento è prematuro esprimere qualsiasi considerazione in merito a quella che è la posizione ufficiale della Chiesa, ammesso e non concesso che ve ne sia una sola, dal momento che quest’ultima avanza una richiesta di chiarimento al governo italiano per una questione che pertiene, a quanto pare, ai propri interessi e a quelli degli stakeholders, ormai così si definiscono in termini di economia scolastica i genitori che mandano a scuola i figli.
Pare, infatti, che la questione verta sostanzialmente sull’obbligo sancito dall’art. 7 del DDL Zan di sensibilizzare al problema in occasione costituenda Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia, alla quale non potrebbero sottrarsi le scuole private e cattoliche.
Ora, giustamente Tarantini si sofferma sul paradosso diplomatico che la questione ha messo in evidenza, ma sarebbe opportuno soffermarsi, a monte, anche sul contrasto valoriale ed etico in atto nella nostra società, con tutto il suo carico politico, dal momento che si tratta di organizzare una società in uno spazio fisico fatto di corpi di persone, le quali devono avere la possibilità di muoversi liberamente, senza subire violazioni nella loro integrità e dignità.
Se la questione, infatti, riguarda veramente la libertà delle scuole private cattoliche di non aderire alla Giornata contro l’omotransfobia, è chiaro che ci troviamo all’interno di una logica che non ha nulla a che fare con la religione, ma, in prima battuta, con l’economia, vale a dire con la legge della domanda e dell’offerta, dal momento che sappiamo tutti, e ce lo nascondiamo probabilmente per lasciar sopravvivere quella istituzione che ci garantisce un posto in paradiso, che in Italia esiste un segmento formativo estremamente efficace ed efficiente, peraltro funzionante con fondi pubblici, che non persegue affatto il necessario pluralismo, la dispendiosa inclusione e la laicità.
In sostanza, la scuola privata cattolica, che in Italia può vantare circa 8.000 istituti, sopravvive grazie ad una utenza che richiede per i propri figli l’insegnamento di un determinato pacchetto di valori, un determinato approccio alle discipline, pur nel rispetto delle indicazioni nazionali che consentono di parificare il titolo di studio. Certo, non siamo ai livelli del sistema d’istruzione nordamericano, dove persino i programmi possono essere modificati al punto da insegnare il creazionismo al posto della teoria dell’evoluzione, ma non si può trascurare il significato etico e valoriale che determina la scelta da parte degli stakeholders del sistema scolastico cattolico.
E c’è da dire che la pandemia nell’ultimo anno ha messo in ginocchio tutto il sistema delle scuole private, comprese quelle cattoliche. La sospensione della frequenza e dei servizi di mensa, infatti, ha legittimato, sempre per una legge economica, ma questa volta legata alle tasche degli utenti, i genitori a sospendere il pagamento delle rette, generando un ammanco notevole nell’industria privata della formazione, al punto che la stessa Presidenza della CEI nel maggio 2020 si era mostrata molto preoccupata e puntava i piedi perché riteneva insufficienti le forme di sostegno previste dal Decreto Rilancio per la scuola privata rispetto a quella pubblica.
Ma qui non si tratta solo di una questione meramente economica, anzi questo è proprio il caso in cui la selezione di una scuola da parte dell’utente non avviene in base alla teoria della scelta razionale, cioè secondo criteri di convenienza e in base ad un computo autonomo tra costi e profitti delle conseguenze di tale scelta. Qui si ha a che fare con l’educazione e il futuro dei propri figli e delle proprie figlie, per cui l’investimento emotivo, al quale corrisponde quello economico, da parte dei genitori sulla formazione morale e sui valori è enorme perché è in ballo la costruzione di una visione del mondo integrale e rispondente a quella familiare, che s’intende ricreare nell’angoscia della propria scomparsa.
E, allora, è facile comprendere qui qual è la posta in gioco: si tratta di soddisfare moralmente e a livello valoriale le possibilità economiche di chi crede che la visione del mondo da costruire sia quella inscritta, senza possibilità di mediazione e di interpretazione, in un testo sacro specifico, in un’antropologia e una teologia superate storicamente da esigenze storiche di emancipazione e inclusione sociale.
La sfida, dunque, che si riverbera, non senza attriti, all’interno della sfera cattolica, con le istanze che cercano di frantumarne la sua superficie chiusa, facendo emergerne le “dissonanze cognitive”, è quella di dimostrare ai credenti che la battaglia del DDL Zan, che è la battaglia per l’accettazione e l’inclusione sociale di persone omosessuali, lesbiche, bisessuali e transessuali, è una battaglia politica necessaria di liberazione di talenti, di soggettività, di personalità a tutto vantaggio della società civile, sulla quale le religioni e i partiti non possono avanzare opinioni diverse, se non a costo di essere contro la stessa umanità.
Da questo punto di vista, non possiamo non mettere in evidenza il contrasto esistente in seno agli intellettuali cattolici tra chi, come Francesco D’Agostino, giurista e Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, ritiene che l’omosessualità sia una situazione da sanare rispetto all’eterosessualità: «Quando tale bipolarità si attenua, o addirittura si vanifica, si penetra in un ambito di indeterminazione non solo della sessualità, ma della soggettività stessa, che da parte delle scienze psicologiche riceve nomi diversificati, ma che comunque rinviano tutti e tutte ad un deficit di relazionalità, e che relazionalmente e socialmente si esprime in incrinature dell’io, che richiedono sempre (e a volte disperatamente) di essere sanate; incrinature che possono tradursi nella ricerca di una mimesi della irrisolta bipolarità (come nel caso dell’omosessualità)»[1], e chi, invece, sul versante psicoanalitico e filosofico, come fanno Beatrice Brogliato, psicologa e perito presso il tribunale Civile e Penale di Vicenza e il tribunale Ecclesiastico Regionale del Triveneto, e Damiano Migliorini, dottore di ricerca presso l’Università di Verona, non solo si mostrano apertamente favorevoli al DDL Zan, ma provano anche ad esprimere in un testo coraggioso e illuminante il significato pastorale, teologico e umano dell’amore omosessuale[2].
[1] F. D’Agostino, Una filosofia della famiglia, Giuffrè, Milano 2003, p. 199.
[2] B. Brogliato, D. Migliorini, L’amore omosessuale. Saggi di psicoanalisi, teologia e pastorale. In dialogo per una nuova sintesi, Cittadella, Assisi 2014.
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a cura di Michele Lucivero
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