Ciarlatani verdi, rossi e blu, tutti d’accordo nel raccontare frottole contro M5S. La radice del potere

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Nel film di Gabriele Salvatores “Sud” del 1993, il politico di turno, un certo On. Cannavacciuolo, dice al carabiniere solerte: “Colonnello, questo paese lo governiamo con la televisione, non con i carabinieri“. Chiunque abbia un grammo di cervello libero dall’ipnopedia del pensiero unico questa cosa la sa, e chiunque sa questa cosa continua a meravigliarsi della faccia tosta con cui schiere di sedicenti operatori dell’informazione pretendono di farsi passare per martiri della libertà di stampa.

 


In quest’epoca, in cui gli obblighi della pace e della democrazia assicurano lunga vita al compromesso, la verità è spesso costretta ad allearsi con la menzogna, e a pagarle il pedaggio per condividere lo stesso mondo, invece che muoverle guerra senza quartiere e forse senza speranza. Il governo giallo-verde è un buon esempio di questo compromesso. Ma i nemici della verità, che sono costretti con essa al condominio, non hanno più tutto il potere per agire totalmente fuori scena, per mistificare adeguatamente la realtà politica ed economica. E allora si trovano a mentire spudoratamente, coralmente, sperando che la coralità e l’insistenza della menzogna lasci una traccia per loro vantaggiosa nel cittadino elettore.

Nei sogni (forse incubi) degli scenari che ci apprestavamo a vivere qualche anno fa, immaginai che il formidabile consenso popolare dei 5 stelle sarebbe stato combattuto con mezzi sempre più crudi, in un climax che procedeva dal dibattito serrato, alla mistificazione delle politiche, al discredito dozzinale, continuando poi con la lotta giudiziaria, col sabotaggio amministrativo, e infine mettendo cocaina nelle tasche di Di Maio, un cadavere in casa Di Battista, carri armati alla frontiera, portaerei nel golfo di Napoli, (ops, quelle ci sono già). Ma, l’on. Cannavacciuolo mi ricorda che si governa con la televisione. E cioè con la menzogna.

Dunque, se la Raggi ha mentito è disonesta, se è onesta è però incompetente; se si aiutano le banche i giornali non battono ciglio, se si fanno politiche a favore del popolo allora sono dannose per i conti pubblici; quando c’è un governo amico va bene il rapporto deficit/Pil al 3%, è letale invece se il governo Conte lo porta al 2,4%; non appena lo spread comincia a calare la Commissione europea invia una lettera di preoccupazione per il bene dell’Italia, le sentinelle della democrazia tacciono sullo scandalo Consip, ma sanno tutto (sbagliando) sulle borse di Virginia, etc.

E tutto questo per ammazzare il porco, avrebbe detto Bersani, cioè per accalappiare l’elettore: per costruire un cittadino domestico che acconsenta a farsi macellare, che accetti una disuguaglianza di classe basata sul trucco generato dal potere. Con tutte le televisioni e i giornali concordi nel dettare al popolo quello che deve sapere per essere tenuto schiavo, ciò che deve sognare per non vedere gli interessi dei dominanti, che serve per avvalorare le sue fantasie peggiori (Massimo Giannini vs Travaglio: “Se il governo facesse tutto ciò che ha promesso, verrebbero con i carri armati per impedirlo”. Verrebbero, chi? ci si domanda allora).

Oggi fanno carriera così, mentendo, spigliatamente, contro ogni evidenza. Una vasta congrega di servi che invece di lamentarsi delle condizioni di chi fa il mestiere del giornalista, del prezzo del proprio lavoro (se fosse lavoro onesto), fanno i prezzolati del padrone, in gara tra loro per chi più stravolge la realtà, definitivamente incapaci di riconoscerla. Questa, in Italia, la condizione di una funzione fondamentale della democrazia: una condizione che lascia pochissime voci libere, e poche ancora a sopravvivere, tra la ridda di altre voci, a doversi finanziare con scarsi mezzi la ricerca della verità.

Ormai molta parte di quella che fu la grande stampa italiana è in guerra col governo, con il M5S che del governo rappresenta la rivoluzione. E’ venuto il tempo di una legge che tolga finanziamenti pubblici all’editoria, una legge contro il conflitto di interessi che l’includa. Basta con un padrone che sia allo stesso tempo finanza, imprenditore, politico ed editore, malgrado Berlusconi sia “preoccupato per il clima illiberale” che si respira, che il PD e i suoi accoliti temano per la libertà d’espressione, e nonostante la maggior parte dei mentitori di regime siano preoccupati per il posto di lavoro. Anche malgrado il ciarlatano verde – che cambia idea nel giro di poche ore, servo dei padroni e non del “poppolo” sovrano – abbia appena deciso che questa legge non è una sua priorità.