Ci sono luoghi capaci di inghiottire chi li visita in una spirale di sensazioni e di emozioni; che quasi funzionano come una macchina del tempo, in grado di riportarci indietro, anche a giorni mai vissuti, in una sorta di viaggio esperienziale e sensoriale improvviso.
Luoghi poco conosciuti, per niente pubblicizzati, che semplicemente se ne stanno lì, nello spazio in cui – di fatto – esistono, accogliendo i pochi soliti frequentatori ed i passanti curiosi.
Uno di questi è sicuramente il cimitero inglese di Minturno.
Si tratta di uno dei 38 Commonwealth Cemeteries italiani, cimiteri, cioè, che ospitano le vittime della Seconda Guerra Mondiale. Questi ampi e verdi spazi sono stati deputati ad accogliere il riposo dei soldati del Commonwealth, ma sono tantissime le tombe senza nome (circa un centinaio) che non riescono a raccontare alcuna storia – se non la terribile realtà della guerra – per chi vi giace all’interno.
Il cimitero di guerra di Minturno si trova sulla via Appia, a due passi dal Parco archeologico dell’Antica Minturnae e dal Ponte Real Ferdinando sul Garigliano, ed è stato progettato dall’architetto e urbanista britannico Louis de Soissons su commissione della Commonwealth War Graves Commission. Oltrepassare il suo ingresso e immergersi in quel silenzio irreale e denso che riesce a avviluppare tutti i visitatori è un’esperienza da fare almeno una volta nella vita. L’unico suono che si percepisce è quello che deriva dal calpestio del perfetto prato all’inglese che riveste quasi tutta la superficie dell’area, inclusi gli enormi settori che accolgono le 2049 tombe presenti, per la maggior parte di uomini morti nella battaglia lungo le rive del Garigliano. Non bisogna dimenticare, infatti, che, durante il conflitto, il circondario divenne parte della cosiddetta Linea Gustav, la linea difensiva voluta da Hitler per cercare di fermare l’avanzata delle Forze Alleate che, sbarcate a Salerno, puntavano verso Roma. Un triste teatro di guerra in cui anche tanti comuni cittadini si ritrovarono invischiati, in molti casi impegnandosi in prima persona e perdendo la propria vita; in altri riuscendo, seppur sempre in maniera drammatica, a contribuire al rafforzamento della resistenza e alla vittoria degli Alleati.
Il cimitero di guerra di Minturno fa parte del circuito delle Commonwealth War Graves e questa è la sua storia.
Il 3 Settembre 1943 gli Alleati invasero l’Italia, ma in quel momento tutto cambiò: avvenne, infatti, un armistizio con gli italiani che, successivamente, rientrarono in guerra proprio al loro fianco. L’intento era quello di attirare le truppe tedesche dal fronte russo e, più in particolare, dalla Francia, dove era stata programmata un’offensiva per l’anno successivo. Il cammino attraverso l’Italia meridionale fu abbastanza agevole e rapido, nonostante la dura resistenza, ma alla fine di ottobre gli Alleati si ritrovarono davanti la difensiva invernale tedesca della Linea Gustav, che si estendeva da ovest ad est, dal fiume Garigliano al Sangro. L’impresa, in questo caso, fu molto più ardua e soltanto il 17 gennaio 1944 si riuscì ad attraversare il Garigliano e, due giorni dopo, a prendere Minturno. Il sito per il cimitero fu scelto proprio in quel freddo gennaio, ma gli Alleati persero improvvisamente terreno, consegnandolo, di fatto, alle armi tedesche. Per questo, l’area non poté essere utilizzata fin quando, a maggio, gli Alleati si lanciarono nell’ultima avanzata su Roma con, in questo settore, la 85ma e 88ma divisione USA.
Ecco perché le sepolture appartengono principalmente alle vittime dell’attraversamento del Garigliano di quel gennaio del ‘44.
Lo scenario che si offre agli occhi di chi visita il cimitero di Minturno appare davvero quasi come un paradiso in terra: prati e giardini curatissimi, alti e maestosi pini, magnolie, salici piangenti, targhe, monumenti ed iscrizioni che commemorano i caduti; il tutto in una cornice naturale più ampia, quella dei Monti Aurunci.
Ogni lapide – ove possibile – riporta nome, ruolo ed età del militare sepolto, nonché la milizia di appartenenza. In fondo al lungo viale, un altare ricorda: “Their name liveth for evermore“.
Il loro nome vive per sempre.