È un incantatore di serpenti, Roberto Cingolani. Il Recalcati della scienza: in un Paese di scarsa cultura scientifica, sa usare le parole giuste, evocative ma non troppo difficili (tecnopolitica, sostenibilità ambientale, ecologia della mente…), per sedurre la platea: sia quella renziana della Leopolda, sia quella grillina di Sum, il convegno annuale di Ivrea in onore di Gianroberto Casaleggio. Il ministero della Transizione ecologica, a lui assegnato, è stato il cavallo di Troia per espugnare la resistenza Cinquestelle al governo Draghi e ottenere una maggioranza di sì sulla piattaforma Rousseau.
Gran tessitore di rapporti, sublime cacciatore di finanziamenti, Cingolani ha saputo incantare tanto Matteo Renzi quanto Beppe Grillo. A Leonardo è approdato da poco come Chief innovation & technology officer, con l’obiettivo di portare la sostenibilità ambientale in un business, l’aerospaziale-militare, che sta all’ambiente come Dracula all’Avis. Ma la sua creatura è l’Iit, l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, di cui è stato direttore scientifico dal 2005 al 2019. È l’unico centro di ricerca in Italia che non doveva piangere per mancanza di finanziamenti, tanti e ottenuti senza gare competitive: 100 milioni l’anno, più altri 128 di eredità ex Iri. Nel Paese in cui i ricercatori fanno fatica a trovare i soldi per continuare a lavorare, l’Iit di Cingolani aveva accumulato negli anni tanti finanziamenti da non riuscire a spenderli: oltre 1 miliardo di euro in una decina d’anni, di cui quasi la metà restati in cassa. Tanto che nel 2013 era arrivata una bacchettata della Corte dei conti, che aveva trovato 430 milioni di Iit messi sotto la voce “disponibilità liquide” e “per la maggior quota detenute in un conto corrente infruttifero aperto presso la Tesoreria centrale dello Stato”, mentre una quota minore (21 milioni) era depositata in banca. A fine 2016, il “tesoretto” di Iit era ancora di 426 milioni presso la Tesoreria centrale e di 22 milioni in conti bancari. Ne nacque uno scontro con la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo (“I sovrafinanziamenti a Iit sono una abnormità scientifico-finanziaria”), che chiedeva che non fosse la politica a decidere dove mettere i soldi per la ricerca, ma il merito degli scienziati stabilito con gare competitive. La senatrice ottenne che nel 2017 dal “tesoretto” Iit fossero prelevati 250 milioni per la ricerca di base. La polemica con la senatrice si riaccese nel settembre 2016, quando un Renzi radioso, per cercare di dare un senso al futuro dell’area Expo che nessuno voleva comprare, annunciò a Milano la nascita di un “progetto petaloso” (sic): Human Technopole, centro di ricerca su genomica e big data affidato a Cingolani, con dote di 1 miliardo e mezzo in dieci anni dati a Iit senza gare pubbliche e senza trasparenza sulle assegnazioni. Si ribellarono quella volta il mondo della ricerca e i rettori milanesi (compresa Maria Cristina Messa dell’Università di Milano-Bicocca, che ora si ritrova al governo con Cingolani, che — ricambiato — la detesta): tanto che il progetto fu riscritto e il Tecnopolo assegnato a un comitato indipendente e poi al direttore Iain Mattaj. E ora il 55% dei suoi finanziamenti sarà messo a disposizione della ricerca di base grazie a un emendamento di legge fortemente voluto dalla senatrice Cattaneo. La mission che era stata assegnata da Renzi a Cingolani per Human Technopole era la ricerca su genomica, big data e medicina di precisione: oggi constatiamo che non ha dato contributi alla lotta al Covid e l’Italia è fanalino di coda in Europa per sequenziamento del genoma del virus e delle sue varianti, di cui il Paese avrebbe un disperato bisogno. Intanto, i fondi Fisr del ministero della Ricerca per l’emergenza Covid chiesti a giugno 2020 da università e centri di ricerca pubblici non sono stati ancora assegnati.
Cingolani, scalzato dal Tecnopolo renziano, era stato nel frattempo risarcito con un posto a Leonardo con superstipendio. La sua è una carriera di successo. È un ricercatore qualificato nel campo della Scienza dei materiali, con 900 pubblicazioni scientifiche al suo attivo e un H-Index di tutto rispetto, sopra l’80 (è il numero che misura la produttività e l’impatto delle citazioni delle pubblicazioni di un ricercatore). Nessuna delle sue pubblicazioni è però nel campo dell’Ecologia o dell’Ingegneria energetica. Contrariamente a quanto scrisse Il Sole 24 ore nel 2017, non compare nella classifica internazionale degli scienziati più citati al mondo (il ranking Highly Cited Researchers di Clarivate). Tra i ricercatori del suo settore con lavori ad alto impatto è al posto numero 2.380. Da direttore di Iit, per anni ha firmato una media di 60 articoli scientifici l’anno, in pratica uno a settimana. Molti per qualsiasi ricercatore a tempo pieno, troppi per uno impegnato anche a dirigere un istituto di ricerca. Ora comincia una nuova vita: dovrà indirizzare la trasformazione green dell’Italia, scegliere dove collocare i soldi del Recovery che arriveranno dall’Europa e dimostrare — questa volta — di saperli anche spendere.
di Gianni Barbacetto e Laura Margottini sul Fatto Quotidiano