Dopo la morte di Ezzelino da Romano nel 1259 per Vicenza s’avvia un periodo di centovent’anni in cui si trasforma da “città-stato” a “città-satellite”. Decide sciaguratamente, Vicenza, di “ascendere i gradini del proprio servaggio, passando sotto il controllo d’un nuovo padrone ch’è sempre più grande e più forte di quello appena abbandonato” (Franzina). Pagherà un prezzo altissimo a fronte della rinuncia ad autogovernarsi, prima bloccando lo sviluppo di un Comune forte e indipendente, poi precludendo le condizioni per la nascita di una signoria cittadina e, infine, obbligando i cittadini a subire il pagamento di pesanti tributi alle potenze occupanti che strozzano l’economia locale. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr)
Una città divisa in troppe fazioni
Il XIII secolo è davvero maledetto per Vicenza, che si riprenderà dalla desolazione politica ed economica solamente due secoli più tardi, nell’epoca d’oro del Cinquecento del Palladio e della seta. Le colpe di questo degrado vanno comunque assegnate ai vicentini stessi, ben disponibili ad assoggettarsi a forze esterne, incapaci di esprimere un sentimento identitario, probabilmente più attenti alla logica del lavoro e del privato che a quella della politica e del pubblico.
La città è divisa in troppe fazioni: le casate da sempre in lotta fra di loro, i ghibellini (che sono la corrente prevalente) contro i guelfi, le istituzioni religiose che costituiscono un vero contropotere, i ceti mercantili e professionali emergenti che pretendono uno spazio nell’amministrazione, perfino gli eretici Catari che rivaleggiano con la Chiesa cattolica.
È impossibile trovare in questo contesto un filo conduttore condiviso perché gli interessi di questi gruppi sociali sono inconciliabili ed egoistici e, quindi, la vicentinità non può venire a galla come elemento culturale e politico aggregante e di prospettiva. Sicuramente, poi, la società locale non riesce ad esprimere un leader, una personalità unificante una cittadinanza mediocre e turbolenta. Da dove potrebbe provenire un “signore” vicentino? Nelle altre città è espresso da uno dei casati o da una delle famiglie della nuova ricchezza, ma a Vicenza nessuno è così ricco e potente (e bravo) da assurgere a dominus. Sotto Ezzelino la nobiltà è tornata nei propri possedimenti del contado e i ceti produttivi “borghesi” non hanno i mezzi per competere con i grandi proprietari terrieri. Chi si arricchisce in poco tempo e a dismisura sono solo gli usurai, come i da Thiene.
La restaurazione del Comune dopo la tirannia
Il passaggio da “città-stato” a “città-satellite” ha un anno d’inizio: il 1259, la fine della tirannia. La restaurazione del Comune dura, però, solo pochi anni. Si confiscano i beni dei da Romano in città e nel contado, si aggiornano gli organismi rappresentativi, si restaurano gli edifici pubblici danneggiati dal sacco delle truppe imperiali, si dà un nuovo assetto policentrico all’abitato, si rinnovano gli Statuti cittadini.
Molto importante è la redazione di un documento, il Regestum possessionum Communis Vincenciae del 1262, ossia l’inventario delle proprietà pubbliche e dei relativi titoli di possesso, che dà un quadro finalmente preciso e dettagliato della situazione dei beni del Comune.
Sembrerebbero buone le premesse per uno sviluppo del risorto Comune sulla falsariga di quelli delle altre città, anche venete. E invece torna in auge anche la dannazione di Vicenza, la frammentazione e la contrapposizione dei poteri. Rientrano in città le famiglie magnatizie che ricominciano a farsi la guerra e a controllare le assemblee a scapito dei populares.
Bartolomeo da Breganze, un vescovo che diventa quasi un signore
La città ha di nuovo un vescovo forte, Bartolomeo da Breganze, nominato dal papa nel 1259 in funzione anti ezzeliniana, rimasto in esilio fino alla morte del tiranno e, dal 1260, finalmente insediato nella sua sede episcopale. Bel tipo questo Bartolomeo, che sembra proprio non fosse affatto breganzese (bensì vicentino) né, tanto meno, appartenesse alla famiglia dei da Breganze.
Uomo di multiforme ingegno: professore di teologia nello Studio della curia romana, consigliere ufficiale di papa Innocenzo IV, vescovo in lontane sedi del Medio Oriente, nunzio apostolico presso il Re di Francia, diplomatico. Un grande personaggio, insomma, di un livello ben superiore a quello dei concittadini. Nel 1259 il papa lo manda in missione diplomatica in Inghilterra da Enrico III e Bartolomeo, tornando, si ferma a Parigi da Luigi IX che gli dona due preziose reliquie, una croce ricavata dal legno di quella di Cristo e una delle spine della corona. Bartolomeo porta le due reliquie a Vicenza al momento della sua entrata in città e avvia immediatamente la costruzione di una nuova chiesa, che prende il nome di Santa Corona, per contenerle. In breve il nuovo vescovo diventa la figura più autorevole di Vicenza: recupera all’episcopato le proprietà feudali che erano state sottratte da Ezzelino; fa insediare a Santa Corona i Domenicani (ordine a cui appartiene) e la Santa Inquisizione, gestita dall’ordine, per estirpare dalla città la eresia catara; si interpone come intermediario e paciere nelle lotte fra i casati e trova anche il tempo di mediare fra le città della Marca che, una volta libere dal dominio di Ezzelino, hanno pensato bene di farsi la guerra.
Contemporaneamente e negli anni successivi gli ordini mendicanti si spartiscono Vicenza, insediandosi - ciascuno con una propria chiesa – in tre dei quattro quartieri storici dell’abitato. Il quadrante nord è sotto l’influenza dei Francescani di San Lorenzo, quello sud è appannaggio degli Eremitani di Sant’Agostino basati nella Chiesa di San Michele, e, a oriente, a Santa Corona ci sono i Domenicani. Il quartiere sudoccidentale, invece, è di pertinenza del Vescovo, che vi ha sede e cattedra in Duomo. I monasteri sono in prossimità delle principali porte e ciò permette ai frati di espandere il proprio controllo anche nei terreni fuori le mura.
Quando sembra che Vicenza abbia in qualche modo raggiunto un nuovo equilibrio e che si possa sperare in un rilancio della città, uscita a pezzi dalla tirannia dei da Romano, subitaneamente lo scenario cambia perché arriva la prima “dedizione” dei vicentini. Alla sempre odiata e ostile Padova. Da “città-stato” a “città-satellite”.
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