L’11 aprile del 1987 moriva a Torino Primo Levi. Un sopravvissuto agli orrori dei lager. Nella sua vita quell’esperienza lo segnò al punto da lasciare segni indelebili nella sua anima – come si legge nella nota che pubblichiamo a firma della prof. Romano Pesavento del CNDDU (qui altre note del CNDDU su ViPiu.it–.
Tra le tante pagine scritte e sue interviste vogliamo segnalare un estratto di una sua intervista a un giovane laureando che sorprende per lo spirito profetico e per la stringente attualità delle riflessioni contenute: il mondo diviso in blocchi, il problema ambientale e soprattutto l’impossibilità di coltivare la speranza caratterizzano la nostra epoca in modo spietato. Eppure nonostante le avversità e le nubi all’orizzonte, bisogna continuare a credere che ciascuno di noi possa e debba fare la differenza. Anche attraverso la propria testimonianza e il rifiuto nei confronti dell’omologazione a una realtà cinica e disumanizzante.
“La differenza fondamentale tra la nostra giovinezza e la giovinezza attuale è nella speranza di un futuro migliore, che noi avevamo in modo clamoroso e che ci sosteneva anche negli anni peggiori, anche nel lager: la meta c’era e era costruire un mondo nuovo di uguali diritti, dove la violenza era abolita o relegata in un angolo, costruire il Paese per riportarlo a livello europeo. Invece, i giovani d’oggi, mi pare abbiamo molte meno speranze. In generale vedo che tendono a scopi immediati, e questo forse è anche abbastanza giusto, in quanto non distinguono un altro futuro.
Mi pare, paradossalmente, che sia stata più facile la nostra giovinezza, perché oggi sono troppi i mostri all’orizzonte: c’è il problema della violenza, il problema energetico, dell’inquinamento; il mondo è diviso in blocchi, c’è una totale incapacità di prevedere l’avvenire e nessuno osa fare previsioni sensate di qui a due anni. C’è sempre il problema atomico. Trovo che sono pochi i giovani che pensano di fare o studiare in qualche modo per un loro preciso futuro. È il senso del tramonto dei valori, per cui bisogna godere e bruciare tutto subito.”
(tratto da Primo Levi un’intervista inedita, la Repubblica, 18/01/2009, https://download.repubblica.it/…/dome…/2009/18012009.pdf)
Primo Levi, che aveva vissuto l’esperienza umana emblema del male assoluto per eccellenza, l’olocausto, aveva a lungo ragionato sui termini e le caratteristiche della malvagità umana ed era arrivato a una conclusione: essa si annida dove non si scorge traccia di pensiero, di rimorso, di empatia. Forse non necessariamente gli spiriti ottusi sono più propensi alla crudeltà delle menti evolute, ma sicuramente laddove taccia la coscienza inizia l’agonia dell’umanità intera.
“Essi popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero”. (Primo Levi, Se questo è un uomo)
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani propone un’attenta lettura dei brani in oggetto e comparazione con la situazione attuale in modo da stabilire un confronto dialettico tra passato e presente.
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre” (Primo Levi)
prof. Romano Pesavento
Presidente CNDDU