L’8 settembre Vicenza e provincia festeggiano la loro patrona, la Madonna, a cui è stato dedicato il santuario di Monte Berico. Alle pendici del monte si trova Campo Marzio, anche se molti lo chiamano Marzo, un tempo circondato dalla pista per far correre i cavalli, ora ricordata solo dall’omonimo viale dell’Ippodromo. La festa dei Oto, come viene chiamata in città, è da sempre l’occasione per vivere i luoghi simbolo di Vicenza, in nome di una socializzazione che non sia solo quella del “bianco macchiato”. Ne abbiamo parlato con il professor Luciano Parolin, scrittore e membro della commissione toponomastica, che a Campo Marzio ha dedicato il libretto “Storia di Campo Marzio possessione comunale”.
“Marzio deriva da Marziale – spiega Parolin – è questo il nome ufficiale, sempre presente in tutte le carte e le mappe dalle più antiche alle più moderne. Ho trovato sette pietre miliari con scritto Marzio, e nel giardino del teatro Olimpico ci sono 4 lapidi con scritto Marzio. La mia famiglia aveva la bancarella in Campo Marzio. Era una festa religiosa, non laica. Le bancarelle salivano anche per Monte Berico, fino ai portici. La fiera nasce come fiera degli animali e si apriva il 25 agosto e durava fino al 15-20, le giostre sono arrivate dopo il ’56-’57. Più avanti ancora sono arrivate quelle meccaniche, elettriche. All’inizio si spingevano a mano, si chiamavano gabbie, volgarmente dette anche ‘calci in culo’. Poi per i bambini c’erano le gondole con l’acqua. Ma la cosa più bella per me, e questa si è persa, tranne pe ri festival di Gonzaga, sono i cantastorie, che venivano quasi tutti da Ferrara-Mantova. Poi c’erano i musicisti, le canzoni. Venivano in centinaia da Fontaniva, Cologna Veneta, perché sono sotto la diocesi di Vicenza, con una bottiglia di vino e una coperta per sedersi per terra. Prima di Vicenza è nata la fiera del Soco a Grisignano, anche quella era una fiera degli animali”. Oggi a Vicenza sono rimaste solo le giostre mentre a Grisignano oltre a Luna Park c’è ancora la fiera, anche se ci sono meno animali. “Certo, sono cambiati i tempi, è cambiata la società”.
“Ci sono due delibere comunali del 1426 e 1428 che parlano della chiesa di Monte Berico. In quella data è stata messa la prima pietra. Poi nel ‘600 è stata costruita la grande basilica, dedicata all’apparizione della Madonna. Dopo Lourdes è il secondo monumento europeo per le visite dei fedeli. Nel 1526 c’è stata la peste a Vicenza, che fino al 1800 era un villaggio da 15-20 mila abitanti. I malati venivano isolati tutti al lazzaretto. In quel contesto a Venezia è nata la parola quarantena. A Vicenza c’era un lazzaretto in via Arnado Fusinato e un altro a San Lazzaro. Nel 1868 il Comune ha deciso di trasformare Campo Marzio in un campo fiorito”.
“Campo Marzio era veramente un campo, si facevano pascolare le mucche – spiega ancora Parolin – e poi lle si mungeva e si vendevano anche i formaggi nelle casare; in estate c’erano anche le anguriare; c’erano due cavallerizze, cioè ‘parcheggi’ per i cavalli, uno dei signori dell’epoca e uno per i soldati. Del resto Vicenza era tutta una caserma, fino alla Prima Guerra Mondiale. Per il controllo del territorio arrivavano i carabinieri a cavallo, noi ragazzini eravamo a centinaia in Campo Marzio, giocavamo a pallone, poi facevamo il bagno a Ponte Furo. Il nome poi doveva essere viale Dalmazia, che è in parte rimasto. Quello doveva essere il toponimo ufficiale, ma per ragioni politiche era un nome scomodo. Poi con il tempo Campo Marzio si è sempre più ristretto. All’inizio arrivava sin quasi a Olmo, poi hanno costruito le case a San Felice, la stazione dei treni”.
“Ogni settimana in Campo Marzio c’era qualcosa – ricorda ancora il professor Parolin -: i giochi della gioventù, i concerti davanti al caffè turco, il Moresco, la sfilata delle carrozze, gare di tiro a segno, battute di caccia, gare di pesca nella Seriola (il piccolo corso d’acqua che dalle risorgive delle Maddalene arriva fino ai giardini Salvi, n.d.r.) – prosegue il professor Parolin -. Era anche un luogo dove le coppiette potevano appartarsi e smorosare, come si dice. Del resto c’erano tanti alberi. Ai tempi della Prima Guerra Mondiale dove c’è ora l’hotel Campo Marzio c’era un boschetto e lì in quella zona era iniziata la prostituzione. Il sindaco prima mise dei lampioni, poi fece tagliare il bosco. Allora si sono spostate sulla salita di Monte Berico, paradossalmente vicino al convento dei frati. E infatti quella zona è stata poi chiamata stradella del Diavolo“.
Il professor Parolin è un fiume in piena quando si tratta di raccontare la storia di Vicenza. Una tradizione che sarebbe un peccato perdere, ma che va trasmessa in un certo modo ai giovani.
“La Regione dovrebbe assegnare 20 mila euro ad ogni provincia per valorizzare la storia con delle tesi di laurea. Il Comune anche potrebbe fare di più, creando magari un assessorato alla storia della città, alle sue tradizioni, alla sua toponomastica“.
Anche questo, concludiamo noi maliziosamente, sarebbe un modo per riqualificare il centro storico, finanziando o promuovendo iniziative culturali che ci ricordino come eravamo, anche per capire come siamo adesso e come potremmo essere. Forse questo funzionerebbe di più di qualche divieto.