Il sottile fascino del complotto, l’idiozia collettiva e la solitudine del cittadino globale: “meglio male accompagnati, che soli”

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Le teorie dei complotti
Le teorie dei complotti

La fascinazione per i complotti permea le genti da secoli. È parte della storia e della narrazione non comprovata che vede coinvolti regnanti, rivoluzionari e organizzazioni segrete laiche e non – dai Rotoli del Mar Morto alla Rivoluzione francese – i quali avrebbero cercato di volta in volta di sovvertire l’ordine costituito al fine di addivenire al controllo dell’umanità, almeno quella al tempo intesa come tale.

Tuttavia se fino al diciannovesimo secolo la scarsa diffusione dei mezzi di informazione, unita alla limitata alfabetizzazione, relegava la conoscenza e la discussione di tali avvenimenti, grandi o piccoli che fossero, a pochi e in ambienti circoscritti, l’infodemia (circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, ndr) del secolo successivo vedeva il dilagare delle teorie cospirative, fino a farle diventare un fenomeno di massa.

A questo punto la politica non poteva che cavalcare il fenomeno dei “complotti” quale elemento di forza, tanto più se divisivo, per usarlo ai fini del consenso e perseguire i propri fini alimentando paure e insicurezze; il mercato non ha fatto altro che sfruttare le circostanze per trarne il maggior profitto in termini economici.

Circa l’eventualità di ipotesi di condizionamento, lascio alla lettura di un articolo, pubblicato recentemente su questa testata a cura dell’ottimo Michele Lucivero.

Risparmio al lettore l’elenco dei fatti a cui implicitamente mi riferisco, citando a puro titolo di esempi l’omicidio Kennedy, le Torri Gemelle, il Covid 19, la “dittatura di Bruxelles”, il 5G, il Nuovo Ordine Mondiale e altro, senza escludere le motivazione afferenti le varie guerre, alcune ancora in essere; tralascio altresì per decenza la questione delle le scie chimiche e degli improbabili effetti.

L’avvento del processo di globalizzazione – che mi piace definire “azione globalizzata” –, unitamente alla diffusione della opportunità di accesso a Internet, hanno compiuto il resto.

La “rete”, nella sua accezione “democratica”, ha permesso a chiunque di raggiungere chicchessia, realizzando il perpetuarsi indiscriminato di un processo di idiozia collettiva, intesa come la perdita della capacità critica, che si realizza principalmente mediante il predominio della emotività sul ragionamento e dove il tutto viene schiacciato sul “presente” mediante l’alienazione della memoria personale e la mancata verifica degli antefatti. Da qui l’esplosione dei “complotti”…

Nonostante il detto, ritengo tuttavia che il principale elemento alla base del fenomeno, sia la “solitudine del cittadino globale” (Bauman 1999), ovvero l’assenza di identità poiché atomizzata all’interno di “macro contenitori” sintattico – lessicali quali Europa, Asia, Occidente, Est, Ovest e via discorrendo, dove la capacità del singolo nel controllo della propria posizione rispetto ai confini è percepita pressoché nulla.

Di qui la necessità di aggrapparsi al primo “non-luogo” definito da un pensiero condiviso, meglio se costruito sulla reazione ad una imposizione, dove finalmente potersi riconoscere ed essere riconosciuto come parte del “concreto e controllabile”.

In definitiva si assiste alla trasmutazione di un concetto che era sinora dato per interiorizzato ma che, cambiato, diventa: “meglio male accompagnati, che soli”.