Sono 181 i comuni veneti con meno di 3000 abitanti che potrebbero col tempo sparire se non interviene un mutamento nelle dinamiche di spopolamento.
Di questi, 13 sono microcomuni, con popolazione al disotto di 500 abitanti, 26 che contano da 500 a 1000 cittadini e altri 142 con popolazione compresa tra 1000 e 3000.
Sul tema, la Fondazione Think Tank Nord Est ha dedicato un’analisi, parlando di “Inverno demografico dell’Italia” e di come il calcolo della popolazione colpisca in particolare i comuni più piccoli, impegnati in questi giorni a Bergamo per l’Assemblea Nazionale Anci.
“Nel dettaglio – sostiene Ttne -, i micro Comuni con meno di 500 abitanti hanno perso in media l’11,6% della popolazione. Quelli con un numero di residenti compreso tra 500 e 1.000 hanno segnato un calo del 9%. I Municipi con una popolazione tra 1.000 e 3.000 cittadini evidenziano una flessione del 7%.
Gli Enti locali con un totale di abitanti compreso tra 3.000 e 5.000 mostrano una diminuzione del 3,8%, mentre quelli con un numero di residenti compreso tra 5.000 e 10.000 sono in calo del 2,1%. Bisogna quindi arrivare ai Comuni con più di 10 mila abitanti per osservare l’andamento relativamente migliore: infatti si registra una sostanziale invarianza (-0,6%) tra 10.000 e 20.000 residenti, mentre nelle realtà urbane con più di 20.000 cittadini la diminuzione è dell’1%.
L’inverno demografico colpisce quindi soprattutto i Comuni più piccoli: un problema non da poco per il nostro Paese, in quanto gli Enti con meno di 3.000 abitanti sono 4.454, pari al 56,4% del totale. In queste aree, tuttavia, risiede solo il 9,4% del totale dei residenti in Italia.
Il calo della popolazione sta quindi svuotando interi territori, dove di conseguenza è sempre più difficile garantire i servizi ai pochi cittadini rimasti, a causa proprio della mancanza di un bacino demografico minimo. La flessione del numero degli abitanti, secondo le previsioni, è peraltro destinata ad intensificarsi nei prossimi anni, mettendo quindi a rischio la sostenibilità dei servizi legati all’istruzione e al sociale, ma anche alla cultura e allo sport.
Più in generale, poi, lo spopolamento causa a sua volta la scomparsa delle attività economiche, generando ulteriore isolamento e declino economico, in una spirale di effetti negativi difficile da invertire”.
Secondo la Fondazione Think Tank Nord Est, i piccoli Comuni dovrebbero prendere in considerazione l’aggregazione con gli Enti limitrofi, al fine di costruire dal basso, in maniera quasi sartoriale, una nuova realtà in grado di offrire i servizi alla popolazione all’interno di un bacino territoriale più ampio.
Non solo: con gli incentivi statali concessi alle fusioni si possono realizzare investimenti e progetti per migliorare la qualità della vita e la competitività di queste aree, cercando di renderle nuovamente attrattive per le imprese e le persone.
“La fusione è un’opportunità fondamentale per garantire i servizi nelle aree caratterizzate da piccoli Comuni – sostiene Antonio Ferrarelli, presidente della Fondazione Think Tank Nord Est – e proprio per questo i processi di aggregazione dovrebbero essere promossi e incentivati ancor di più dal nuovo Governo.
Ai contributi statali dovrebbe però affiancarsi la costruzione di un nuovo assetto istituzionale basato sui servizi ai cittadini e non sugli Enti in quanto tali. La divulgazione delle buone pratiche di fusione dovrebbe avere il giusto spazio anche nell’Assemblea Nazionale Anci.
In particolare nelle aree periferiche del Paese – conclude Ferrarelli – è indispensabile promuovere progetti di area vasta, al fine di rendere sostenibili i servizi locali e salvare il futuro dei piccoli Comuni, che continuerebbero così a vivere nella nuova istituzione con una loro precisa identità”.